La coraggiosa denuncia del titolare di un negozio di abbigliamento sportivo che ha portato all’azzeramento del nuovo clan Balzano di Miano: «Gli abbiamo detto che non avremmo più aperto conti, ma eravamo terrorizzati. Immediatamente chiudemmo il negozio»
Un pressing asfissiante, iniziato con una lunga serie di pretese di “regali” e terminato con vere e proprie minacce di morte. La mala di Miano negli ultimi tempi è tornata a fare la voce grossa e per questo motivo aveva ripreso a imporre una raffica di estorsioni ai danni dei commercianti del quartiere e della zone limitrofe, Chiaiano e Piscinola in particolare. Non tutti i negozianti, però, hanno abbassato la testa. È il caso di Salvatore Volpicelli e del fratello Ciro, titolari di un negozio di abbigliamento sportivo a Santa Maria a Cubito, che con coraggio hanno deciso di chiedere aiuto alle forze dell’ordine, denunciando i propri aguzzini e raccontando l’incubo nel quale erano precipitati.
Le dichiarazioni dei due commercianti – vale la pena ricordarlo – rappresentano il pilastro, oltre che l’input, dell’inchiesta che poche settimane fa ha portato all’esecuzione di sette arresti, tra cui quello dell’emergente ras Eduardo Franco Romano, sospettato dagli inquirenti di essere l’attuale leader del clan Balzano di “abbascio Miano”. A dicembre i Volpicelli, ormai esasperati dalle continue richieste della cosca, si sono dunque rivolti alla polizia, spiegando che la loro attività ormai dal 2015 era oggetto delle attenzioni degli esponenti della mala della zona: «Sono soliti recarsi nel loro negozio – scrivono gli inquirenti – inizialmente in modo amichevole ma poi facendo leva sulla loro appartenenza criminale di riferimento, pretendono di avere abiti e scarpe di un certo valore senza mai pagare». Debiti che in almeno un caso sarebbero schizzati fino alla vertiginosa cifra di 8.000 euro. Salvatore Volpicelli ha poi spiegato «che l’imposizione consiste nel consentire agli esponenti delle organizzazioni di aprire nel loro negozio un conto su cui annotare tutta la merce che prendono per poi poterla pagare con calma nel tempo, ma in realtà l’apertura del conto è solo un escamotage per non pagare niente, e infatti nessuno è solito saldare i conti, alcuni non pagano nulla, altri solo cifre risibili».
Ma questa, a conti fatti, era solo la punta dell’iceberg. Ben presto sarebbero infatti arrivate anche le minacce di morte. “Avvertimenti” che lo stesso Volpicelli ha raccontato alla polizia in sede di denuncia: «A novembre si presentò nel negozio accompagnato da Salvatore Maggiore il ragazzo che già in estate si era presentato come il figlio di Romano, non ricordo il nome ma saprei riconoscerlo… Si avvicinò a me e ai miei fratelli e ci disse che lo mandava Luciano Carbone e ci chiese di aprire dei conti per tutti loro, in quanto doveva comprare sei tute, una per ciascuno di loro, precisando che Luciano avrebbe fatto da garante. Mio fratello Ciro rispose che avevamo già detto a suo pare che non potevamo più aprire conti, ma che se fossero venuti in negozio ad acquistare merce gliel’avremmo venduta al costo di acquisto per noi».
La reazione dell’emissario e della cosca – neanche a dirlo – non fu delle migliori: «Dopo dieci minuti, verso le 19, venne Salvatore Maggiore e ci disse con toni violenti e minacciosi testuali parole “ha detto Cristian tenete dieci minuti per chiudere il negozio o vi schiattiamo la testa”, poi si girò e dirigendosi verso l’uscita ci minacciò “vi schiattiamo la testa”. Noi rispondemmo che avevamo capito e che avremmo chiuso, eravamo terrorizzati. Immediatamente chiudemmo il negozio e andammo via impauriti». Ancora pochi giorni e l’incubo sarebbe finalmente finito grazie alla retata che ha disarticolato la nuova cupola del clan Balzano.