Un fenomeno sempre più dilagante.
La violenza è sempre violenza. Forse la cosa peggiore che si possa fare è etichettarla, cercare di darle un genere. Donne, uomini, transgender, sono tutti esseri umani e come tali possibili vittime di violenza. Così come possibili carnefici. Oggi, nella giornata contro la violenza sulle donne, è giusto ricordare le tante, troppe, vittime, ma è altrettanto giusto stracciare via il velo che copre un altro tipo di violenza, quella che sono gli uomini a subire da parte delle donne. L’8.2 % degli uomini, infatti, ha subito molestie verbali, il 6.8 % è stato pedinato, il 3.6 % ha subito contatto fisico indesiderato. L’ISTAT stima che gli uomini vittime di una forma di molestia sessuale prima dei 18 anni siano 435.000, pari al 2.2 %. Tutti numeri che Stylo24 ha analizzato con l’avvocato napoletano Maria Di Martino.
Avvocato, la violenza psicologica inferta dalle donne sugli uomini è un fenomeno sempre più dilagante come quella sulle donne.
«Parliamo di qualcosa altrettanto grave, meno conosciuto, ma altrettanto devastante, forse proprio perché non produce rumore. E’ una lama affilata, silenziosa, subdola. L’uomo che subisce violenza prova le stesse sensazioni di una donna: paura, umiliazione, disagio, dolore e senso di colpa. I dati Istat sono allarmanti, si registrano ormai quasi 5 milioni di uomini all’anno vittime di violenze femminili. E questo non avviene solo tra le mura domestiche, ma anche nell’ambito professionale. E’ raro che le donne uccidano i propri compagni, ma ricorrono spesso al ricatto, all’umiliazione e alla distruzione economica dei propri compagni, colpendo persino nella sessualità. Non si vuole sminuire la violenza maschile sulle donne, ma credo sia giunto il momento di coniare un nuovo termine: il ‘maschicidio’».
Ma come mai c’è questa coltre di silenzio?
«Sicuramente l’uomo è vittima di una informazione a senso unico, che procede per stereotipi e pregiudizi, mostrando la donna come vittima e lui come carnefice, ma la verità sta sempre nel mezzo. E sarebbe giusto analizzarla attraverso quelle indagini che, però, sono ancora troppo poche in Italia».

Attraverso quali comportamento si concretizzano queste forme di violenza psicologica?
«Critiche a causa di un impiego poco remunerato, denigrazioni per la vita modesta consentita alla partner, paragoni con persone che hanno guadagni migliori, rifiuto di partecipare economicamente alla vita familiare, critiche per difetti fisici, insulti e umiliazioni, distruzione e danneggiamento di beni, minaccia, anche di suicidio e autolesionismo. Per non parlare, nel periodo della cessazione della convivenza o del matrimonio, in presenza di figli, della minaccia di portare via i minori, ostacolando, se non impedendo completamente i rapporti con l’uomo».
All’estero come è visto il fenomeno?
«C’è senza dubbio un’attenzione maggiore. Vengono portati avanti studi e la violenza è considerata prima di tutto tale, tenendo conto di entrambi i sessi come possibili vittime o carnefici».
Cosa può fare l’Italia per risolvere questo problema?
«Dobbiamo prendere atto che la cosiddetta violenza di genere va affrontata sotto un altro punto di vista. A cominciare dagli sportelli antiviolenza, che oggi sono dedicati maggiormente alle donne e non sempre sono in grado di gestire la richiesta di aiuto del sesso opposto. Capita spesso che un uomo vittima di una forma di violenza da parte di una donna non trovi la forza di denunciare, perché non è creduto. E questo a causa di una violenza psicologica, che non si manifesta attraverso segni fisici. E anche quando trova il coraggio di farlo, non viene creduto per colpa di stereotipi collegati a un retaggio culturale che vede l’uomo virile e forte. Senza la capacità di ascolto, non ci sarà mai il modo di aiutare gli uomini. Addirittura l’odio verso il genere maschile, viene fatto passare per discriminazione positiva, in nome di una presunta parità che non ha niente a che vedere con la parità dei sessi. E questa solitudine porta anche a suicidi. In fase di separazione e divorzio, gli uomini vengono discriminati e spesso ridotti in stato di indigenza, per colpa di carenze legislative. Non a caso i padri separati vengono definiti oggi i nuovi poveri. Mentre una donna può non riconoscere la sua maternità mediante l’aborto, gli uomini non possono mai farlo. Inoltre, nonostante il 20% dei figli sia frutto di relazione adultere della moglie, gli uomini non hanno diritto al test gratuito di paternità. E’ necessaria una educazione che parta dall’ambito familiare, così come dai banchi di scuola, poi una normativa giuridica, per circoscrivere e ridurre il fenomeno. Il centro di tutto deve essere sempre la persona, non uomo, donna, transgender, perché la violenza non conosce genere».