di Francesco Vitale
Nella rete degli usurai finiscono anche due parenti, fratello e sorella. Il primo lavora saltuariamente, la seconda ha un negozio di arredamenti. E’ solo uno dei tanti episodi che emergono dall’inchiesta condotta nei confronti dell’Alleanza di Secondigliano. Una inchiesta, non dimentichiamo, in cui vengono riportati casi gravissimi. In due occasioni, le vittime di usura, si sono tolte la vita. In altre, chi non è riuscito a far fronte al debito ha dovuto vendere la casa. E’ capitato pure che un imprenditore, per pagare il clan, sia stato costretto a cedere la cappella gentilizia di famiglia, e a spostare i resti dei propri defunti, dal cimitero di Poggioreale.
Tornado all’episodio che ha visto vittime fratello e sorella, la somma data a strozzo dal gruppo, che attraverso Giuseppe De Rosa, è riconducibile al clan Contini, ammonta a qualche centinaio di euro, residuo di un debito, che, ipotizzano gli inquirenti, in origine, sarebbe stato molto più elevato.
Per far fronte a una tranche, la titolare del negozio,
si mette d’accordo per fornire agli indagati,
una cappa da cucina del valore di 300 euro.
L’elettrodomestico, però, secondo Gennaro De Rosa (classe 1990), figlio di Giuseppe, non avrebbe il valore «pattuito», ragion per cui, il 29enne (a metà luglio del 2012), incontra la donna e le dice: «Una cappa da 300 euro non l’ho mai sentita, ora faccio venire anche a mamma (al negozio), faccio prendere qualche altra cosa, perché la cappa non la voglio più». E’ presumibile, sottolineano gli inquirenti nell’ordinanza, che l’elettrodomestico sia stato fornito dall’imprenditrice per il pagamento di un debito da 300 euro, contratto con il sodalizio.
Una seconda fase di riscossione ai danni della donna,
viene realizzata, argomenta il pm, il 29 settembre del 2012.
Gennaro De Rosa si reca dalla titolare del negozio, ma quest’ultima si oppone al pagamento. «Giustificando la propria posizione, addebitava la responsabilità dei ritardi ai mancati pagamenti che suo fratello avrebbe dovuto effettuare a suo favore», è scritto nell’ordinanza. La circostanza è descritta da Gennaro De Rosa al padre Giuseppe: «Sono andato dalla signora, ha detto che il fratello non le sta dando una lira, lei non vuole sapere niente».
Dai contenuti della telefonata intercettata che intrattengono i due De Rosa, emerge anche un particolare inquietante.
Pur di sottrarsi alle pressanti richieste e alla paura infusa dai «creditori», la donna fornisce a questi ultimi il numero di telefono del familiare, arrivando di fatto a tradirlo. «Datemi l’indirizzo di vostro fratello e datemi il numero di telefono, perché vostro fratello, lo mandiamo in ospedale», racconta Gennaro De Rosa al padre.
Ottenuto l’indirizzo e il numero di telefono, «l’ho chiamato e gli ho detto: “Senti, tua sorella ha detto che non gli hai dato i soldi, io adesso vengo a casa tua e ti picchio davanti a tua moglie».Tutto ciò, si evince da ulteriori conversazioni intercettate, per un residuo di debito di 180 euro, che il gruppo vanta dal fratello e dalla sorella. A un certo punto, si assiste a una sorta di scaricabarile relativo alla responsabilità del debito. La sorella dice che non ha i soldi perché deve darglieli il fratello, quest’ultimo dice che invece, quei soldi lui li ha dati.
Sempre il 29 settembre del 2012, dopo essere stato contattato da Gennaro De Rosa, il debitore chiama
il padre del giovane, Giuseppe, per raccontargli
della telefonata, lamentandosi del tono utilizzato dal figlio.
«Mi ha chiamato (Gennaro), mi ha detto che mi viene a prendere a casa, che mi picchia, per 180 euro?». Al che De Rosa senior risponde: «Non è per i 180 euro, è per il principio, adesso risolvimi tu il problema (…) Tua sorella (l’imprenditrice) non ha capito bene, dille che io lo dico a mia moglie, la faccio andare al negozio di tua sorella e le faccio picchiare la figlia. Tua sorella a noi, non ci prende per il culo». L’atteggiamento minaccioso di De Rosa, nei confronti del debitore, emerge anche da un’altra conversazione telefonica intercettata il 6 novembre del 2012.
Il debitore, è in ritardo con il versamento di una quota
di 100 euro e De Rosa gli manda un sms dal contenuto offensivo, sollecitandolo al pagamento.
Risentito, il debitore chiama De Rosa e gli chiede spiegazioni. «Sei una lota, l’ho scritto io il messaggio, sei una lota», dice De Rosa. La conversazione va avanti per alcuni secondi, da un lato De Rosa che chiede all’uomo di ripianare il debito, dall’altra il debitore che dice di aver avuto problemi. Alla fine si stabilisce che i due si vedranno dopo due giorni, per chiudere definitivamente i conti: «Lo so che sto dalla parte del torto, ma tra due giorni faccio i cento euro, te li do e finiamo la storia». Per altri, lo ribadiamo, la storia si è chiusa per sempre, con il suicidio da parte delle vittime.