Mosca detiene minori ucraini in 43 centri, di cui 41 utilizzati in passato come campi estivi
di Serena Trivelloni
Più di 16mila i bambini ucraini deportati in Russia e sottratti alla propria terra. Molti di loro sono stati dati illegalmente in adozione a famiglie russe, inviati in campi di rieducazione, vittime di tratta di minori e violenze sessuali, finendo nelle zone più remote della Russia. E’ quello che ci ricorda anche l’Ambasciatore dell’Ucraina in Italia, Yaroslav Melnyk, durante una recente audizione davanti alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato: «Sarebbe impossibile portare a termine un’ operazione così criminale senza l’ordine del più alto leader dello Stato terrorista, e ciò ha portato alla storica decisione della Corte Penale internazionale di emettere un mandato di arresto per Putin, con l’accusa di aver commesso un crimine di guerra: la deportazione dei bambini. Ci aspettiamo che la Cpi continui il suo importante lavoro, in collaborazione con le Forze dell’ordine dell’Ucraina. Tuttavia il mandato non sostituisce la necessità di ritenere i massimi leader politici e militari della Russia responsabili del crimine di aggressione contro l’Ucraina, piuttosto rafforza la necessità di farlo. L’Ucraina ha riunito a tal fine una coalizione di 33 Paesi, tra cui l’Italia, che lavorano alla creazione di un tribunale speciale competente».
La Russia sta conducendo probabilmente la più grande operazione di sottrazione di minori della storia moderna. Il racconto delle deportazioni naziste nei campi di concentramento per tutelare la «razza eletta» non sembrano più un lontano ricordo. Alle accuse della Corte Penale l’Ambasciata di Russia in Italia risponde definendole «mere speculazioni dei media occidentali prive di fondamento», considerato che la Russia «ha dato rifugio ai bambini costretti a fuggire con le loro famiglie dai bombardamenti e dalle atrocità dell’esercito ucraino». Un’opera di bene dunque, per salvare il popolo ucraino da se stesso…
Il mandato d’arresto a Putin
Non solo: ieri il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, in un’intervista ai media russi, ha affermato che l’arresto del presidente russo Vladimir Putin su mandato della Corte penale internazionale «corrisponderebbe a una dichiarazione di guerra contro la Russia». Già a dicembre però il fatto era stato denunciato dal Washington Post, che aveva ricordato come ciò rappresenti una chiara violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Ma oggi l’accusa è dettagliata con prove in un rapporto dell’Humanitarian Research Lab (Hrl) della Yale School of Public Health, finanziato dal Dipartimento di Stato Usa. In una conferenza stampa Nathaniel Raymond, direttore esecutivo dello Yale Hrl, ha aggiunto che ciò rappresenta anche una violazione della Convenzione di Ginevra sui diritti dei minori e la loro protezione nei conflitti armati.
Secondo l’inchiesta, Mosca detiene minori ucraini in 43 centri, di cui 41 utilizzati in passato come campi estivi per bambini. Raymond ha anche precisato che «il 78 per cento di queste strutture svolge una qualche forma di rieducazione dei minori ucraini, principalmente provenienti da zone come Donetsk e Lugansk», nell’est dell’Ucraina. Ha poi aggiunto che ci sono altri minori che hanno confermato di essere stati inseriti nel sistema di adozione e negli orfanotrofi russi. In almeno due campi, la data di rientro dei bambini è stata ritardata di settimane, mentre in altri due campi il rientro di alcuni bambini è stato posticipato a tempo indeterminato.
Il diritto all’infanzia
Tra un sorriso alla stampa di Putin e un brindisi con Xi Jinping per parlare di «pace» esiste anche la realtà invisibile e il silenzio assordante di chi è stato privato del proprio diritto all’infanzia, al calore dei propri affetti, alla consapevolezza delle proprie origini. E dall’altra parte esiste un amore grande, disperato «tra le palazzine a fuoco» delle città ucraine: quello dei loro genitori. A noi non resta che uno sguardo oltre il confine, che non è solo il confine di uno Stato ma il confine delle nostre città, delle nostre case, delle nostre famiglie. Per cercare di capire il mondo che ci circonda, per provare ad immaginare cos’è una guerra. Per non restare indifferenti alle sue atrocità, per insegnare agli altri e a noi stessi a combattere e resistere.