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Una soffiata dietro la prima faida di Scampia: «Di Lauro corse ad armarsi»

di Luigi Nicolosi
4 Marzo 2022
in Notizie di Cronaca, Primo Piano
Tempo di lettura: 2 minuti
(Nelle foto i fratelli boss Ciro e Cosimo Di Lauro)

(Nelle foto i fratelli boss Ciro e Cosimo Di Lauro)

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La rivelazione del pentito Accurso, un testimone oculare indicò al boss Cosimo i killer di Montanino e Salierno: «Prese tempo facendo finta di incolpare i Licciardi»

di Luigi Nicolosi

Un piano strategico per confondere le acque e prendere tempo così da poter accumulare il maggior numero possibile di armi in vista dell’atroce guerra, ormai dietro l’angolo. Il clan Di Lauro, grazie a un proprio, fedelissimo testimone oculare, aveva saputo da subito che le responsabilità del duplice omicidio Montanino-Salierno, il delitto che innescò la prima faida di Scampia, era da attribuire ai ribelli scissionisti: «Ma fece credere che i responsabili fossero i Licciardi, mentre nel contempo segretamente si stava armando». Parola del super pentito Antonio Accurso, ex ras della Vanella Grassi e oggi grande accusatore delle cosche della periferia nord di Napoli, il quale, con le proprie dichiarazioni, ha contribuito in maniera determinante a fare luce sull’agguato costato la vita nel novembre 2004 a Domenico Riccio, il riciclatore del clan Abbinante, e all’innocente Salvatore Gagliardi.

È il 28 gennaio del 2015, quando Accurso racconta agli inquirenti della Dda la scottante verità: «L’omicidio di Domenico Riccio e Salvatore Gagliardi si colloca nell’ambito di un periodo di piena faida in cui gruppi di fuoco dei Di Lauro a Scampia e Secondigliano avevano già commesso numerosi fatti di sangue. A tal proposito posso dire che la faida del 2004 si apre con il duplice omicidio ai Fulvio Montanino e Claudio Salierno, a cui assistette come testimone oculare Salvatore Barbato, “Totore ’o pinguino”, figlio della Loffa, che si riparò in un’officina lì nei pressi e riconobbe per corporatura e bassa altezza come killer Arcangelo Abete e Carmine Pagano, detto “angioletto”. Quindi andò a riferirlo a Cosimo Di Lauro immediatamente dopo». Ricevuta la soffiata, il boss di cupa dell’Arco diede così attuazione al micidiale piano di vendetta.

Sul punto, il pentito Accurso ha messo a verbale una circostanziata ricostruzione, con tanto di nomi e cognomi: «Per un periodo quindi Cosimo Di Lauro ha finto di non sapere chi fossero i responsabili di questo omicidio, facendo credere che i responsabili fossero i Licciardi mentre nel contempo segretamente si stava armando. Infatti qualche giorno dopo venne arrestato Luigi Magnetti che, insieme a Luigi Giannino e Luigi Aruta, stava spostando delle armi dei Di Lauro in borsoni da un appoggio nei garage dietro la pizzeria Zueppella, di fronte alla chiesa di Santi Cosma e Damiano, per portarle nel rione dei Fiori. Giannino e Aruta riuscirono a scappare, Magnetti venne arrestato e condannato». Ma la vendetta dei Di Lauro era ormai comunque pronta, la prima faida, con i suoi oltre centotrenta morti ammazzati in meno di due anni, pronta a esplodere in tutta la sua violenza.

Tags: antonio accursocamorracorsa alle armicosimo di laurodomenico riccionapoliomicidioprima faida di scampiasalvatore gagliardiverbali
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