Il dramma delle popolazione siriana e turca continua: bilancio in continuo aggiornamento
di Serena Trivelloni
Un incubo senza fine. La Turchia e la Siria continuano a svegliarsi sotto le macerie, tra rabbia e disperazione dei loro abitanti. Sale a 3.549 vittime e 22.168 feriti il bilancio delle vittime del sisma, come annunciato dal presidente Recep Tayyip Erdogan, che da Ankara ha dichiarato lo stato d’emergenza per tre mesi nelle 10 province colpite. In Siria invece il bilancio sembra salire a 1600 vittime, per un totale di più di 5000 morti. Nel frattempo continuano freddo, maltempo e scosse, almeno 300 quelle registrate tra Siria e Turchia a partire dalla mezzanotte scorsa. Nell’arco di 13 ore la più forte è stata di magnitudo 5,5.
Un dato positivo c’è ed è riportato sempre dal presidente turco: più di 8.000 persone, fino a questa mattina, sono state messe in salvo grazie all’intervento della protezione civile locale, dei cittadini ma anche delle squadre di soccorso internazionali arrivate sui luoghi d’emergenza.
Stamani il Commissario Europeo per la gestione delle crisi Janez Lenarčič ha affermato che: «tramite il meccanismo di protezione civile dell’Ue abbiamo mobilitato 28 squadre di soccorso e mediche da 21 Paesi europei, inviando insieme 1185 soccorritori e 79 cani da soccorso alla Turchia. Undici di queste squadre sono già arrivate. Ringraziamo Albania, Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Malta, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria per le loro rapide offerte».
La situazione in Turchia
Temperature gelide, neve e pioggia stanno ostacolando gli sforzi dei soccorritori, e raggiungere le aree vicine all’epicentro in Turchia si rivela estremamente difficile. L’autostrada che porta a Sud non è più sicura dopo le forti scosse di terremoto e il transito si sta spostando progressivamente su strade tortuose di montagna perché le strade risultano sconnesse e con profonde fratture. La protezione civile locale ha cercato disperatamente di far passare ambulanze e squadre di soccorso, ma il percorso è intasato di camion e persone che cercano di scappare.
E come conseguenza del sisma un grande incendio è divampato da ieri notte nel porto di Iskenderun, località costiera del sud est della Turchia, forse a causa della caduta di alcuni container nel porto. Intanto ad Ankara quattro persone sono state arrestate per i post «provocatori che miravano a creare paura e panico» pubblicati sui social in Turchia meridionale, intenti a far leva sulla rabbia espressa dai cittadini di Hatay per la lentezza dei soccorsi.
Tra i tanti appelli e richieste di aiuto che i social fanno rimbalzare dalla Turchia devastata dal sisma spicca quello di Volkan Demirel, ex portiere della nazionale di calcio, ed ora allenatore dell’Hatayspor, squadra con sede ad Antiochia nella Provincia di Hatay. Nel suo messaggio l’ex giocatore chiede ai soccorritori di affrettarsi: «Mandare tutte le risorse che avete, per l’amor di Dio. Aiutateci. La gente sta morendo.» Per poi scoppiare in un pianto dirotto.
Voci Da Afrin e da Aleppo – Siria
Nel frattempo anche in Siria la situazione continua ad essere drammatica. Il giornalista e attivista Jan Hasan dal campo profughi per sfollati di Shahba, situato nel governatorato di Aleppo, ha lanciato un appello alla comunità internazionale: «Il nostro campo profughi è assediato: truppe turche e milizie pro-Ankara a nord e a est, gruppi armati vicini all’Iran a ovest, forze armate siriane a sud. Gli aiuti per sostenerci dopo il terremoto dovrebbero passare per decine di check-point e chi li volesse inviare dovrebbe pagare tasse molto care. Siamo riusciti a consegnare dei cestini con del cibo agli abitanti, ma il blocco che ci è stato imposto è scioccante. Chiediamo alla comunità internazionale di fare lo sforzo di venire qui di persona e di aiutarci direttamente perché siamo isolati».
Una situazione già compromessa dagli equilibri precari causati dai conflitti interni e dalle milizie che sembrano ostacolare i passaggi e bloccare gli aiuti. Il terremoto infatti ha colpito un Paese già debilitato da una guerra civile che dura dal 2011 e che nel corso degli anni ha determinato una divisione del territorio per zone di influenza di milizie, eserciti e potenze regionali.
La storia di Hasan
Hasan vive a Shabha insieme con circa 1.500 persone sfollate, dove coordina una piccola ong, ed è in contatto diretto con la sua città natale, Jeindireis. La località è un sobborgo di Afrin, città a maggioranza curda fra le più colpite dal sisma situata una quindicina di chilometri a nord-ovest, sempre nel governatorato di Aleppo: «Sono fuggito da Jeindireis dopo l’operazione militare turca del 2018 e mi sono stabilito con la mia famiglia qui. Il campo profughi è costituito da tende e da case basse e questo ha fatto sì che i danni delle scosse siano stati pochi, solo alcune persone sono rimaste ferite. Abbiamo paura però e dormiamo in auto, mentre il clima è freddo e piovoso».
L’attivista continua: «La mia città natale è stata invece fra le più colpite dal terremoto: da quello che sappiamo 84 edifici sono rimasti completamente distrutti. Parliamo di una città di poco più di 25mila abitanti che rischia verosimilmente di avere circa 1000 vittime». Gli effetti delle scosse hanno colpito Hasan anche personalmente: «sono almeno 15 i miei parenti che hanno perso la vita, da quello che so al momento».
Testimonianze anche da Aleppo, dove l’arcivescovo della Chiesa maronita, monsignor Youssef Tobji dichiara alle agenzie che: «la popolazione di Aleppo, nella Siria settentrionale, è allo stremo a causa delle due scosse di terremoto di magnitudo 7.8 e 7.6 registrate ieri nella provincia turca di Kahramanmaras, che si sono aggiunte alle conseguenze di oltre 12 anni di guerra. Qui ad Aleppo vi è un sentimento di paura generale. La popolazione è completamente sotto shock perché un terremoto di tale entità non si era mai visto prima» racconta l’arcivescovo, il quale precisa che continuano ad esserci scosse di assestamento dopo i primi due devastanti sismi: «tutti abbiamo paura. Io per primo non sapevo cosa fare. E’ stato qualcosa di tremendo, una devastazione mai vista prima, nemmeno durante la guerra».
Il rischio sanitario
In queste ore sta aumentando anche il rischio concreto di epidemia di colera. Il contagio, manifestatosi già la scorsa estate in un paese debilitato da oltre dieci anni di guerra civile, potrebbe riprendere forza e virulenza a causa delle scarse condizioni igieniche rese ancora più drammatiche dal sisma, che sta provocando anche una vera e propria emergenza alimentare.
Immagini di vite spezzate e sguardi spaventati di uomini, donne e bambini. Pochi stracci ed effetti personali, se si è riusciti a salvare qualcosa, che racchiudono tutta una vita. Una vita che sembra oggi un po’ più lontana. Una tragedia dove sofferenza e disperazione sono tangibili, per cui non è possibile chiudere gli occhi e girarsi dall’altra parte.