Dal 6 febbraio sono state registrate circa 7.930 scosse di assestamento
di Serena Trivelloni
Sono oltre 50.000 le vittime della doppia scossa di terremoto di magnitudo 7.8 e 7.6 che il 6 febbraio scorso ha colpito le regioni della Turchia meridionale e della Siria settentrionale. In un ultimo bilancio annunciato dal ministro dell’Interno turco, Suleiman Soylu, nella sola Turchia le vittime ammontano ad almeno 43.556. Dal 6 febbraio, poi, sono state circa 7.930 le scosse di assestamento registrate nel Paese.
In Siria, secondo l’ultimo bilancio diramato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr) i morti ammontano a circa 6.750, di cui 2.226 nelle aree controllate dal governo di Damasco e 4.521 in quelle poste sotto il controllo dei gruppi di opposizione al presidente Bashar al Assad. Centinaia di feriti versano in gravi condizioni, mentre le vittime siriane decedute in Turchia e riportate in Siria ammontano a quasi 1.800.
Un bollettino di guerra che sembra contrastare con il silenzio e la quiete dei luoghi semideserti coperti dalle macerie o quello dei campi di accoglienza, dove il sole sembra rendere il clima meno rigido e risparmiare almeno in parte dal gelo le popolazioni colpite.
In una dichiarazione alla stampa testimonia la situazione drammatica anche il mons. Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, in missione in Siria e Turchia: «Il sisma devastante che ha colpito Turchia e Siria ha «ulteriormente indebolito una popolazione sfinita dalla guerra e dagli effetti delle sanzioni, che hanno reso quella terra irriconoscibile rispetto alla relativa prosperità precedente. Durante le due giornate trascorse ad Aleppo, sabato 18 e domenica 19, è stato possibile incontrare numerose famiglie che, dopo il terremoto, hanno trovato accoglienza temporanea in spazi gestiti dalle comunità religiose, cristiane e musulmane, o in edifici pubblici come una scuola».
La missione italiana
Nel frattempo in Turchia prosegue a pieno regime l’attività dell’ospedale da campo EMT2 messo a disposizione dalla Regione Piemonte, nell’ambito della missione italiana coordinata dal Dipartimento della Protezione Civile italiana, presente in Turchia in seguito all’attivazione del Meccanismo europeo. Allestito ad Antiochia lo scorso martedì e operativo dopo soli due giorni, in una settimana dall’apertura ha garantito assistenza ad oltre 600 pazienti. La presenza del team sanitario italiano – l’unico europeo ad operare nella zona – risulta ancora più indispensabile per l’area a causa della chiusura dell’ospedale locale, tutt’oggi inagibile. Il personale inviato, altamente specializzato e formato per attività in emergenza, è in grado di garantire cure specifiche che vanno dalla traumatologia, alla chirurgia, dall’infettivologia alla ginecologia e ostetricia. L’impegno italiano continua come atto concreto di solidarietà e supporto alle popolazioni colpite dal sisma.
L’emergenza umanitaria
Ma non basta. Queste sono terre complesse, in balìa di tensioni e interessi che vanno a discapito di milioni di civili bisognosi di cure mediche, viveri, beni di prima necessità. L’imbarazzante politicizzazione dell’emergenza umanitaria, che ad esempio la Siria già viveva a causa di oltre dodici anni di conflitto, ha ulteriormente fatto emergere la necessità di un’urgente soluzione politica che consenta di fermare le ostilità, alleviare le sofferenze dei civili e permettere l’apertura di una nuova pagina. La sicurezza in Siria permetterebbe anche il rientro in patria per milioni di profughi, tra cui quelli che ormai da anni vivono in territorio turco, spesso in condizioni di grande precarietà. Il sisma, per queste persone, in prevalenza donne e bambini, è stato un nuovo colpo al cuore.
Lo racconta alla stampa e ai colleghi di Altreconomia il dottor Zakreia Almohammad, fondatore dell’Al Anees Center for children with special needs a Gaziantep: «Il sisma ci ha sconvolto tutti, adulti e bambini. La violenza e la rapidità del succedersi delle scosse ci hanno letteralmente traumatizzati. Nemmeno la guerra è stata così. Lì le violenze erano in qualche modo più diluite nello spazio e nel tempo. Quando ci siamo resi conto di quello che era successo e di essere ancora vivi, siamo scesi in strada ed è stato un momento indescrivibile di angoscia e paura. C’erano palazzi crollati nel quartiere, persone ferite, persone che piangevano. Era buio e sembrava tutto irreale».
Un’irrealtà che purtroppo si fa reale e che continua a restituirci numeri da brivido in una terra ferita, compromessa e martoriata da cataclismi e guerre. Dice bene Mauro Biani uscito con una vignetta oggi su Repubblica: «Scappo dal terremoto in Turchia dove ero arrivato scappando dalla Siria e dalla guerra. Mi riposo un attimo, poi riscappo».
