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Truffe agli anziani, il pentito: chili e chili d’oro al clan Contini

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Home Inchieste e storia della camorra

Truffe agli anziani, il pentito: chili e chili d’oro al clan Contini

di Redazione
19 Novembre 2019
in Inchieste e storia della camorra
Tempo di lettura: 4 minuti
Truffe agli anziani, dell'oro recuperato dai carabinieri

Truffe agli anziani, dell'oro recuperato dai carabinieri

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Il collaboratore di giustizia si fingeva assistente del fantomatico avvocato Molinari

di Giancarlo Tommasone

L’operazione Condor 2 è scattata all’alba di lunedì e ha portato all’arresto di cinque persone, accusate di far parte del gruppo di Melegnano (provincia di Milano) e di aver messo a segno ben 18 colpi nei confronti di altrettante vittime. In una sola giornata, il 24 novembre del 2016, la banda formata da napoletani, è riuscita a mettere le mani su circa 200mila euro (in denaro liquido e oggetti in oro), portati via a due anziane. Fondamentale per risalire al gruppo di Melegnano sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Giovanni Fortunato. Quest’ultimo ha cominciato a rendere dichiarazioni spontanee poco dopo essere stato arrestato. La paura di una lunga detenzione lo ha spinto ad abbandonare l’atteggiamento spavaldo e cinico che fino ad allora lo aveva contraddistinto, per descrivere agli inquirenti le modalità seguite dall’organizzazione legata a doppio filo al clan Contini del Vasto-Arenaccia.

Il filone milanese
dell’inchiesta Condor

Fortunato parla, e non solo aiuta a ricomporre la rete dei truffatori investita dall’operazione Condor (quella che l’otto novembre scorso ha portato all’esecuzione di 50 misure cautelari), ma racconta pure come avvenivano le truffe e in che modo si portavano i proventi dell’attività illecita a Napoli, perché bisognava versare la quota ai Contini (tra il 30 e il 40% sul totale di quanto portato via alle vittime).

Le dichiarazioni
del pentito
Giovanni Fortunato

«Voglio spiegare – racconta il pentito ai magistrati – come funziona il sistema criminale delle truffe agli anziani del tipo di quelle per cui mi avete arrestato. Ho iniziato a fare truffe a fine gennaio di quest’anno (si riferisce al 2017, quando viene arrestato). Ho infatti conosciuto a Melegnano tale Ciro Diana, napoletano come me, che mi ha proposto di fare queste cose visto che gli avevo detto che avevo problemi economici. Mi ha detto che suo figlio Michele, prima “andava nelle case” per fare le truffe per conto di suo cugino, di cui non conosco il nome, ma che so che stava in Spagna, tanto che lo chiamo “lo spagnolo”, e che è stato arrestato per un ordine di cattura a Ibiza; poi Michele si era messo per conto proprio a fare il telefonista, e mi è stato quindi proposto di andare nelle case con lui». Il collaboratore di giustizia ripercorre l’inizio della sua carriera di truffatore.

L’offerta del 20% e le modalità
per procurarsi schede
telefoniche non intestate

«Mi era stato offerto il 20% sul totale che si faceva. Ho quindi accettato e ho cominciato a fare l’assistente dell’avvocato, che si presentava al telefono come “avvocato Molinari”. La prima truffa che ho consumato – ricorda Fortunato – è stata all’inizio di febbraio (2017), credo un martedì, vicino Corso Como: ho fatto 300 grammi e 850 euro in contanti. Da quel momento ho continuato a farne in tutta la Lombardia e a Torino insieme a Michele Diana, che faceva il telefonista. I proventi li portavo ogni giorno a casa Diana a Melegnano. Posso affermare di averne fatte tante, che in gran parte ricordo; a tal proposito, sono pronto a riferire anche su di esse».

Leggi anche / Il nuovo affare della camorra:
più soldi con le truffe agli anziani che con il contrabbando

Giovanni Fortunato parla anche di come ci si procurava le schede telefoniche: «Le sim Lyca Mobile e a volte Wind, le compravamo, per 5 euro in più senza intestazione, o intestate in maniera fittizia, in un negozio a San Giuliano vicino al bar della piazza che si trova fungo la Via Emilia sulla destra venendo da Melegnano, gestito, penso, da pakistani e il cui capo era però un italiano, non napoletano». Per ogni colpo che si portava a termine, c’era poi la quota da versare al clan Contini. Riguardo a tale circostanza, il pentito spiega: «L’oro recuperato dalle vittime veniva portato a Napoli da Ciro (Diana), che ogni venerdì prendeva alle 14.30 circa, il treno Frecciarossa per Napoli da Rogoredo, e a volte da Michele (Diana); loro dicevano che lo davano al “Sistema”, più precisamente alla famiglia Contini; so che i Diana sono imparentati (con i Contini), perché la sorella o la nipote di Ciro si è sposata con il nipote di Edoardo Contini, il capoclan». Nelle casse della cosca del Vasto-Arenaccia, sono quindi finiti chili e chili di oro strappati alle anziane vittime raggirate.

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