di Giancarlo Tommasone
Dal verde della Campania a quello della Toscana, passando attraverso imprese pulite, perfettamente in regola, terminali o primo step per la finalizzazione del riciclaggio di denaro, quello invece sporco e proveniente dai traffici illeciti effettuati in terra d’origine.

Così la camorra decide di investire in strutture ricettive, agriturismi, alberghi, ristoranti, ruderi di cascinali immersi nella campagna da far tornare ai fasti di una volta. Ma lo fa finanziando quasi alla luce del sole con una vasta operazione di scatole cinesi, tessendo una fitta rete di prestanome; una tecnica affinata studiando il «business plan» della ‘ndrangheta. Il denaro, secondo le ultime risultanze investigative, passerebbe attraverso le mani di abili manager e di insospettabili imprenditori che nella maggior parte dei casi sarebbero all’oscuro della provenienza illecita del capitale che vanno ad investire. I ricavati tornerebbero poi ai primi «sponsor» percorrendo un nuovo percorso «di teste di legno». Le recenti operazioni messe a segno da Mobile e Dia di Firenze sono sfociate in arresti e sequestri per svariati milioni di euro nei confronti di appartenenti a cosche nostrane. Eppure non si può parlare di camorra esportata in Toscana, né di una organizzazione criminale radicata e operante al di fuori della Campania.

«Se si parla del sequestro effettuato nei confronti di Vincenzo Ascione – spiega il tenente colonnello Edoardo Marzocchi della Dia di Firenze – abbiamo agito sulla persona, in base ai dati raccolti sulla sproporzione del reddito dichiarato rispetto ai beni che sono risultati essere nella sua disponibilità». Vale a dire quindi che non si è intervenuti a contrasto dell’attività illecita di un clan ma del singolo, perché almeno per il momento in Toscana non sarebbe stata evidenziata la presenza di nuclei malavitosi provenienti da Napoli o dal Napoletano, permanenti ed effettivi, inseriti nel tessuto connettivo delle città toscane.

Partendo da ciò bisogna anche chiedersi perché il singolo, eventualmente foraggiato dal clan, oppure le cosche (ci riferiamo ad esempio ai Mallardo e all’Alleanza di Secondigliano) abbiano deciso – secondo gli inquirenti – di investire (leggi riciclare) denaro nella terra bagnata dall’Arno. Ci rispondono che la Toscana è meno inflazionata del Piemonte o dell’Emilia (non dimentichiamo il caso di Brescello, nda), regioni in cui è stata più volte acclarata la presenza e l’attività costante di ‘ndrine.
(III – Fine)