Il 30 marzo del 1986 Raffaele Cutolo si confessa con monsignor Riboldi, il vescovo di Acerra che con la sua azione pastorale è diventato un simbolo della lotta della Chiesa contro la malavita, e quindi contro la camorra e la mafia. L’incontro avviene in una saletta riservata del carcere di Bellizzi Irpino dove Cutolo è detenuto. Per gli inquirenti l’uomo di Ottaviano è già un capo indiscusso della camorra napoletana, e le indagini sul suo clan, la temuta Nco, sono già numerose. La visita di don Riboldi era stata chiesta dallo stesso Cutolo qualche giorno prima. L’incontro viene autorizzato da una serie di autorizzazioni di magistrati, 18 in tutto. Il vescovo di Acerra arriva a Bellizzi Irpino poco dopo le 15, con la sua auto privata. Un rapido saluto alla direttrice del carcere, poi si siede di fronte al detenuto. Il colloquio dura tre ore.

Quando è quasi sera, Cutolo deve rientrare nella sua cella e monsignor Riboldi esce dal penitenziario dove ad attenderlo c’è una schiera di giornalisti. “Cutolo era molto felice – commenta il vescovo – . Mi ha detto che quella di oggi è stata la più bella Pasqua della sua vita”. Ovvio che la curiosità di tutti è per il contenuto di quel colloquio. “Non posso svelare ciò che mi è stato riferito in confessione – precisa don Riboldi – ma Cutolo mi ha autorizzato a riferire alcune cose”. E qui si palesano ancora una volta le doti comunicative e ‘mediatiche’ del boss della Nco. “Mi ha detto – racconta il vescovo ad un cronista dell’Ansa – che oggi la camorra è da considerarsi un mostro sanguinario. Tramite me ha poi voluto fare un appello ai giovani: non devono seguire, mi ha detto, i ‘nuovi Cutolo’ ma devono lavorare per la pace che è il più grosso bene”.

Il professore riesce, negli anni, a far sconfinare il suo pensiero dal perimetro del carcere. Lo ha fatto anche con un libro di poesie e con interviste per la Tv. Come ‘poeta’ Cutolo ha vinto un premio: il 31 ottobre 2000 i suoi versi, ispirati alla condizione carceraria, hanno partecipato al premio di poesia organizzato dai frati francescani della basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli. Don Raffaele invia il componimento scritto nel carcere di Belluno, dove è rinchiuso. La giuria è presieduta da Liliana De Curtis, la figlia di Totò, lo premia con 73 voti su 100. Ai giurati non erano stati comunicati i nomi degli autori, sicché quando si scopre che il vincitore è il capo della Nco è impossibile nascondere lo stupore e qualche perplessità. Il boss poeta non può ricevere di persona il riconoscimento, alla premiazione è presente sua moglie, Immacolata Iacone.

La poesia s’intitola ‘Supercarcere’, e non è l’unico scritto del boss che nel 1980 aveva già pubblicato la raccolta ‘Poesie e pensieri’ e nel 1984 aveva scritto dei versi sulla droga lasciando intendere di voler rivolgere un messaggio positivo ai giovani per scoraggiarli dall’usare stupefacenti. All’apparenza una contraddizione. Ecco il testo: “Polvere bianca ti odio! Sei dolce e sei amara … come una donna … sei luce e sei buio. Giovani! Odiatela! La polvere bianca si! vi fa volare per poi farvi ritornare nel buio più cupo. Volano per l’aria lembi di un’anima fatta a pezzi. Si tocca il fondo, i prati diventano voragini buie ed i fiori hanno i petali neri. Poi di colpo i dolori si placano. È il cielo. È un’esplosione di luce. Poi più nulla. L’indomani solo un trafiletto sul giornale. Ennesimo giovane “morto per droga”. Polvere bianca ti odio”. Cutolo, detenuto all’Asinara, spedisce la poesia al giornale di Sassari insieme a un manoscritto, una sorta di memoriale in cui scrive di “seguire con preoccupazione” le vicende legate allo spaccio di droga e sollecita, tra l’altro, l’intervento dei politici per debellare un fenomeno che assume proporzioni allarmanti. E conclude con una decisa condanna per quelli che definisce “venditori di morte”. “Le mie dichiarazioni – scrive Cutolo – faranno sobbalzare parecchi dalle poltrone (…) In tutta la mia vita – aggiunge – non ho mai fatto del male a nessuno se non a coloro che volevano farmi del male”.
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