PALCOSCENICO AZZURRO di Peppe Miale
Credetemi, non ne troverete altre di navi così: forse, se cercherete per anni ritroverete un capitano claustrofobico, un timoniere cieco, un marconista balbuziente, un dottore dal nome impronunciabile, tutti sulla stessa nave, senza cucine. Può darsi. Ma quel che non vi succederà più, potete giurarci, è di stare lì seduti col culo su dieci centimetri di poltrona e centinaia di metri d’acqua, nel cuore dell’oceano, con davanti agli occhi il miracolo, e nelle orecchie la meraviglia, e nei piedi il ritmo e nel cuore il
sound dell’unica, inimitabile, infinita, ATLANTIC JAZZ BAAAAND!!!!!
Al clarinetto Sam “Sleepy” Washington!
Al banjo, Oscar Delaguerra!
Alla tromba, Tim Tooney!
Trombone, Jim Jim “Breath” Gallup!
Alla chitarra, Samuel Hockins!
E infine, al piano … Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento.
Il più grande.Lo era davvero, il più grande.
(tratto daNOVECENTO di Alessandro Baricco)
La leggenda del più grande pianista
Tim, magnifico narratore uscito dalla penna di Alessandro Baricco, protagonista del monologo di Novecento, trombettista jazz che per sei anni o forse più addolciva il viaggio di centinaia di migliaia di passeggeri che cercavano fortuna all’ombra della Statua della Libertà tornando poi ricchi o sconfitti nelle natie terre europee, racconta della leggenda del più grande pianista mai vissuto, Novecento appunto. Ma anche e soprattutto della meravigliosa Atlantic Jazz Band, jazz band regina delle notti trascorse sul mitico piroscafo Virginian che solcava i maridell’oceano. La definisce unica, inimitabile, infinita.
E dall’entusiasmo che profonde nell’esaltare i singoli componenti della band si percepisce quanto ciascuno di loro fosse straordinario nell’esercizio pertinente al proprio talento, dal trombettista, al suonatore di banjo, al chitarrista, fino ad arrivare a quello del più grande di tutti, Novecento, fantastico pianista. Ma lo straordinario talento di ogni singolo componente di quella band non sarebbe stato sufficiente a far sì che quella stessa band diventasse unica, inimitabile, infinita. Per far sì che quella squadra fosse unica, inimitabile, infinita c’era necessità di una osmosi tra i singoli protagonisti che sconfiggesse la matematica. Una osmosi che facesse sì che due più due alla fine non facesse più quattro ma cinque, sei, qualche volta addirittura sette. Quel tipo di osmosi che sta rendendo unica, inimitabile, infinita anche la nostra squadra.
UNICA nell’identità, sinonimo di ricerca innata della bellezza in quanto necessaria. Necessaria perché la Bellezza di una trama di gioco sofisticata e geometrica è necessaria agli occhi di chi ama il calcio e non solo il calcio.
E necessaria anche perché conditio sine qua non il risultato non si raggiungerebbe. Perché, citando al contrario chi della bruttezza fa una bandiera, vincere NON è l’unica cosa che conta.
La rappresentazione sul palcoscenico
INIMITABILE perché si rinnova nell’essenza e nella rappresentazione che la squadra mette sul palcoscenico, cioè sul campo. Quando l’estate dei dolorosi addii ai meravigliosi Lorenzo, Ciro, Kalidou, Fabian, Faouzi si è poi evoluta nei tanti pur calorosi benvenuti a coloro che quella meraviglie dovevano sostituire, come e chi poteva immaginare che un gruppo di giovani virgulti capeggiati da un coreano e un georgiano (il calcio non era di brasiliani e argentini, al massimo dei tedeschi…?) potesse immediatamente assurgere a livelli così alti? Chi poteva immaginare che l’essenza feroce del mitico Minjae ci esaltasse a tal punto da diventare ruggito nello stadio che ad ogni imperioso intervento di bruscolottiana memoria urla KIMKIMKIMKIMKIM diventando onda sismica?
Chi poteva suppore che un nome impronunciabile, furbamente e partenopeamente accorciato in Kvara, divenisse litania meravigliosa per le nostre orecchie azzurre, meravigliosa come quel suo ciondolare tracotante per il prato prima che l’indolenza millantata si trasformi in assist e goal senza fine? E ancora quanti “chi poteva supporre o chi poteva immaginare” potremmo associare a Victor, a Stanislav, a Franck, ad Amir, a Jack, a Giovanni Cholito Simeoneeeeeeeeeeeee… quanti? E allora, senza tacer della miscredenza di molti se non tutti gli innamorati del Napoli, è l’inimitabilità di questa squadra che giustifica e assolve tutti noi. Perché non si può sognare ciò che neanche si riesce ad immaginare.
La squadra infinita
INFINITA perché il pensiero, motore del tutto, la spinge oltre. Infinita come era infinita un’altra squadra di azzurro vestita capitanata dal più grande di sempre, Diego. Il Danny Boodman T.D. Lemon Novecento del libro di Baricco che in questo Napoli non c’è. Perché il Novecento di questo Napoli è la squadra stessa. Il collettivo alla sua massima sublimazione.
Il 29 marzo del 1987 si disputava la 24ma giornata del massimo campionato di calcio ed il Napoli primo in classifica con 34 punti aspettaval’arrivo tra le mura amiche della rivale di sempre, spada di Damocle imperitura sulla nostra testa colma di sogni mai divenuti realtà, la Juventus. Una Juventus stranamente lontana da noi 4 punti (in quegli anni, parlo ai giovani, la vittoria valeva 2 punti e 4 punti di distacco erano tanti). Il Napoli passò in vantaggio con un missile di Renica ma ad inizio secondo tempo la maledetta priva di colori pareggiò i conti con un goal di Serena. Ero in curva e ricordo che pensai quanto un pareggio sarebbe stato utile per tenere a distanza i rivali. Così come domenica scorsa al goal di El Shaharawi ho pensato quanto sarebbe stato saggio accontentarsi del pareggio. Avevo 18 anni e non conoscevo l’infinito. Ora ho 53anni ed evidentemente non ho imparato granché.
Non è ancora successo nulla
Negli 8 minuti che seguirono al goal di Serena, la Juventus non toccò più un pallone. Come la Roma dopo il goal dell’italo-egiziano. Diego capeggiò la rivolta contro il senso di saggezza che prevedeva l’accontentarsi. Oggi Diego non c’è se non dappertutto, ma la squadra da qualche parte ha sentito quell’esigenza e si è riversata intemerata nella metà campo avversaria fino al compimento con il sinistro di Giovanni Cholito Simeoneeeeeee…
Non è ancora successo nulla, e per far sì che succeda quello che è giusto accada, la Squadra dovrà essere, o almeno continuare a provare ad essere, quell’Atlantic Jazz Band, unica, inimitabile, infinita. E dobbiamo pregare che continui a farlo per ogni azione, per ogni momento, per ogni partita, per ogni perigliosa onda che la separa dall’arrivo al porto desiderato dove c’è la Statua della Libertà, tornando poi ricca a casa con in bacheca un nuovo fantastico straordinario inimmaginabile… NON POSSO E NON LO VOGLIO DIRE ANCORA!!!
Azzurramente, Peppe Miale