Un imprenditore racconta il suo rapporto con Antonio Bianco e il clan dei Casalesi
Il factotum di Walterino Schiavone, Antonio Bianco, si presentava alle aziende con cui intratteneva affari per conto del clan sotto mentite spoglie. Non rivelava la sua reale identità e nemmeno che appartenesse al clan. Semplicemente affermava di essere Antonio Schiavone. Molto probabilmente perché in questo modo evitava di rivelare la sua affiliazione ma nello stesso momento incuteva timore e qualche dubbio sulla sua appartenenza. Il nome Schiavone, infatti, nel Casertano richiama immediatamente il vertice dei Casalesi. In questo modo poteva incutere timore nell’interlocutore senza sbilanciarsi troppo.
È quanto emerge dall’interrogatorio di un imprenditore caseario riportato nell’ordinanza relativa al monopolio della mozzarella del giugno scorso. L’imprenditore, che ha l’azienda in costiera sorrentina, a Vico Equense, per la precisione, rivela agli interroganti di aver conosciuto Antonio circa venti anni fa e che «all’epoca si presentò come Antonio Schiavone» e di averlo incontrato in due occasioni, una a Caivano e una a Casoria a giugno e a luglio del 2018.
In entrambi le occasioni «Antonio mi ha comunicato che dovevamo interrompere il nostro rapporto lavorativo spiegandomi anche i motivi» afferma il testimone. Bianco però riferisce di essere un semplice lavoratore e ha raccontato, in quelle occasioni, «Che il suo “masto” (datore di lavoro, ndr) gli aveva consigliato di interrompere i rapporti a seguito dei controlli e delle pressioni che recentemente ha avuto dalla Digos, infatti mi riferì testualmente “Teniamo la Digos addosso ed il mio masto mi ha detto di fermarci per un periodo”».
La voglia di interrompere gli affari e la paura di ritorsioni
«Non gli ho chiesto chi fosse il suo “masto” – prosegue il racconto – anche perché nell’ambiente lavorativo mi ero informato ed avevo saputo che Antonio apparteneva ai Casalesi tanto più per il cognome “Schiavone” con cui si era presentato». L’imprenditore racconta di aver pensato anche di interrompere i rapporti «per non avere a che fare con queste persone che tra l’altro mi devono ancora circa 7.000-8.000 euro».
Un rapporto andato avanti però solo per timore di ritorsioni. «È noto che i Casalesi sono pericolosi – afferma – e io onestamente sono un lavoratore, una persona pacifica, uno che si alza la mattina presto per portare avanti una famiglia. La mia azienda è a conduzione familiare e nessuno di noi ha mai avuto problemi con la legge. Pertanto nè io, nè i miei familiari abbiamo avuto quel coraggio o il carattere forte di dire ad Antonio che non volevamo consegnargli più i nostri prodotti».
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