Non avranno di sicuro letto «Sottomissione» di Michel Houellebecq i padri e le madri napoletani che, negli ultimi due anni, si sono convertiti – e con loro i figli e i familiari sparsi, uno zio, un cugino, un nonno, una cognata – all’Islam. E non si riesce a capire se costoro si siano venduti o si siano fatti comprare. Perché la differenza, tra chi si vende e chi si fa comprare, c’è. Ed è enorme.
Il fatto, ridotto ai minimi termini, è semplice. E preoccupante: tante, tantissime persone si sono convertite alla religione di Allah dopo essere cadute in disgrazia come Gesù Cristo stretto al freddo e al gelo nella capanna tra il bue e l’asinello. Cadute in disgrazia nel senso più vario del termine. Hanno perso il lavoro, hanno perso un parente. Hanno perso la casa. Hanno perso la speranza.
Interi nuclei familiari del capoluogo e, soprattutto, dell’hinterland vesuviano sopravvivono oggi grazie ai soldi e ai generi di conforto offerti dalle comunità islamiche e dei fedeli che frequentano le moschee. Non grandi cifre, sia chiaro. Il minimo indispensabile che per tanti è il massimo desiderabile.
L’elemosina rituale – la Zakat – è d’altronde uno dei cinque pilastri dell’Islam. «Chi ha un debito in sospeso e dei figli, venga pure da me – insegna il Profeta –; io sarò il loro protettore, pagherò il debito e aiuterò i suoi bambini». Eppure non è semplice beneficenza, non è l’obolo che si allunga al mendicante che stende la mano. È questo ma è anche altro. È un’autotassazione a cui i credenti sono chiamati per spirito di fratellanza. È un diritto più che un dovere di un buon musulmano.
Finora quella delle conversioni degli indigenti è solo un’annotazione dei servizi d’intelligence italiani. Una nota a margine di un libro che non è ancora stato scritto del tutto. Uno spunto che preoccupa però chi ha davvero letto Houellebecq e teme le previsioni di una campagna di islamizzazione pagata coi miliardi delle dinastie di Saud.
I cittadini in difficoltà ricevono aiuti e sostegno economico prima – è bene specificarlo – che si convertano. Queste forme di solidarietà non sono mai subordinate o vincolate a un pegno da pagare, hanno raccontato i confidenti agli 007. A un bene da offrire in garanzia. Capita pure che non tutti decidano di indossare il velo e farsi crescere la barba. Sono alcuni uomini e alcune donne che, a un certo punto, decidono di cambiare vita. Vai a capire perché.
«È un fenomeno interessante – commenta Luigi Caramiello, docente di Sociologia dell’Università “Federico II” di Napoli – perché potremmo definirla, senza scatenare polemiche o reazioni di pancia, una “invasione a bassa intensità”. Mi chiedo però: se è a tal punto forte l’esigenza di aiutare il prossimo da soccorrere addirittura i fedeli di un’altra confessione, perché questa solidarietà non viene esercitata a favore di quanti, musulmani diseredati e non, vivono in condizioni di schiavitù in Medioriente?». «Gli schiavi ancora oggi – conclude il prof – esistono in Arabia Saudita e non solo lì. E non mi pare che ci siano grossi movimenti a loro difesa. Tutt’altro».
Lettera43 ha provato a ottenere chiarimenti da una famiglia di Poggiomarino, paesone alle porte orientali del capoluogo. Madre e tre figli, nuovi lettori del Corano. «Non intendiamo rispondere. È una domanda che ci offende. La risposta riguarda la nostra vita personale e la nostra intimità, e la conoscono Allah e Maometto. E questo è tutto». Il capofamiglia è deceduto di tumore tre anni fa, e la mamma vive tra non poche difficoltà con due maschi, ormai adulti, e una femminuccia appena adolescente.
Riserbo più che giustificato. Sarebbe come ridurre una scelta esistenziale a un mercimonio. Col rischio di essere emarginati dalla stessa nuova fratellanza islamica.
«Non mi risulta nulla del genere – commenta Abdullah Massimiliano Cozzolino, presidente della Federazione islamica della Campania –. Le nostre comunità hanno difficoltà enormi di gestione e manutenzione dei luoghi di culto (l’affitto, le utenze, le tasse) e non potrebbero in alcun modo sostenere altre spese. Non vi è alcun tipo di sostegno di tipo economico alle famiglie italiane indigenti. Può capitare che, alla fine del Ramadan, siano concessi aiuti, ma solo dalle grandi comunità, in modo sporadico».
«Piuttosto posso affermare – prosegue Cozzolino – che a livello locale le persone italiane indigenti trovano una comunità accogliente e ricevono una sorta di aiuto morale. Morale e non materiale. Che cosa intendo per aiuto morale? Fornire indicazioni per trovare un nuovo lavoro, assistere i più sfortunati ad avere pazienza e fede».
Houellebecq, a Poggiomarino, non l’hanno mai sfogliato.