La Scuola di Francoforte, come pensiero e studio è tornata attuale per il gran lavoro svolto a livello sociale e di metodo scientifico applicato a un campo con cui oggi tutti dobbiamo fare i conti, quando navighiamo su internet e quando utilizziamo e sfruttiamo i benefici del web per compiere delle scelte, come consumatori e come fruitori consapevoli o meno, della cosiddetta industria culturale. Parliamo ad esempio di fenomeni come lo streaming digitale, che oggi si concentra su cinema, tv, musica e libri in formato liquido. Questi studi di campo sociologico, sono facilmente assimilabili anche al modo di comunicare odierno della politica, delle multinazionali e di quelle aziende come ad esempio Google, Amazon, Apple, Netflix, Facebook e via dicendo.
La ricerca scientifica come prodotto sociale
I dati empirici su cui si basa la ricerca scientifica, così come i suoi stessi risultati, non sono «dati di fatto» oggettivi, ma sono al contrario socialmente e storicamente costruiti. Gli scienziati (e questo vale in particolar modo per gli scienziati sociali) sono parte del sistema che intendono studiare e la loro relazione con gli oggetti di studio non è quindi una distaccata osservazione, ma piuttosto una reciproca influenza. Queste considerazioni sono di fondamentale importanza ancora oggi per un’epistemologia delle scienze sociali che non voglia essere vittima della propria ingenuità. Nel caso della Scuola di Francoforte si traducono in una particolare vigilanza contro il rischio che il lavoro degli scienziati sociali si sviluppi, consapevolmente o inconsapevolmente, al servizio degli interessi dominanti della società. L’interdisciplinarità dell’Istituto è in parte anche una garanzia contro un rischio analogo, ovvero che il rispetto dei canoni di correttezza formale delle singole discipline le renda conservatrici e funzionali all’ideologia dello status quo.
La denuncia dell’utilizzo strumentale della scienza da parte del potere si accompagna a un simile atteggiamento critico anche rispetto alla cultura in generale, considerata sempre più vuota di contenuti e sostanzialmente sempre più asservita alle necessità del capitalismo. Da qui prende forma la poderosa analisi dei mass media, condotta nei termini di un complesso atto di accusa a ciò che la Scuola di Francoforte ha chiamato industria culturale. L’industria culturale è rappresentata dal complesso armonizzato dei mezzi di comunicazione di massa.
Critica dell’industria culturale
Cinema, radio e stampa (ai quali dagli anni Cinquanta si affianca, con una fortissima azione trainante, la televisione). Il sistema dei media, concepito come una vera e propria industria, richiede standardizzazione e organizzazione capillare del lavoro; i suoi prodotti sono altrettanto standardizzati e omologati alle necessità di un consumo culturale di massa, cioè esteso a tutta la popolazione. In questo senso l’industria culturale è profondamente diversa dalle forme di cultura popolare dei secoli passati: al contrario di quest’ultima, l’industria culturale produce «merci» culturali che non nascono direttamente dal basso, dal popolo, ma sono invece pianificate e organizzate dall’alto, dalle singole emittenti, dai network formali e informali che le riuniscono, fino ad arrivare alle strutture economiche fondamentali del sistema capitalistico delle quali i media costituiscono una costola importante. Per questo motivo il termine «industria culturale» viene preferito a quello di «cultura di massa», che potrebbe far pensare a una forma di cultura che nasce spontaneamente dalle masse popolari. Un discorso che si può estendere all’offerta dei giochi digitali, come gli eSports, i cloud gaming e tutto il comparto del casinò online con attrattive come il blackjack online il quale risulta attualmente tra i giochi più utilizzati e cliccati.
I destinatari dei mass media come consumatori
I destinatari delle comunicazioni di massa sono concepiti come consumatori di prodotti preconfezionati. A loro non rimane più nemmeno la possibilità di scelta, perché i prodotti dell’industria culturale sono in fondo del tutto simili tra loro, esattamente come le altre merci della macchina produttiva capitalista, efficacemente simbolizzata dall’immagine della catena di montaggio. I mass media americani, con cui si confrontano in modo particolare gli esuli di Francoforte, sono mossi esplicitamente dalla pubblicità: il loro scopo non è quello di produrre cultura, bensì consumo. La manipolazione del desiderio avviene quindi con l’intento di conseguire un profitto e in questo senso l’industria culturale, non diversamente da qualsiasi altra industria capitalista, è analizzabile con le classiche categorie teoriche del marxismo, dal lavoro alienato alla contrapposizione tra valore d’uso e valore di scambio delle merci.
Il consumatore visto come vittima
Mentre oggi il consumatore viene visto come persona centrale dal mercato, come soggetto al quale il mercato si piega per soddisfarne i bisogni, per la scuola di Francoforte e per il marxismo in generale, il consumatore è una vittima del “sistema”. Oltre a rispondere a esigenze direttamente economiche, l’industria culturale secondo la teoria critica svolge una fondamentale azione politica di «legittimazione dell’ideologia dominante».
Il pubblico (che è definito in termini di massa, rivelando una concezione della comunicazione che affonda le sue radici nella prospettiva ipodermica) risulta quindi non solo indotto a consumare il più possibile, ma viene anche manipolato nei suoi valori, nei suoi atteggiamenti e nelle sue opinioni allo scopo di far sembrare giuste e inevitabili le contraddizioni e le disuguaglianze del sistema capitalista.
Secondo la teoria critica i prodotti dell’industria culturale, come le produzioni cinematografiche di Hollywood, i romanzi d’appendice o quella che veniva definita «musica leggera», presuppongono un tipo di fruizione superficiale che induce a non pensare. La rigida suddivisione in generi consente al pubblico di accostarsi alla produzione mediale con precise aspettative: una commedia brillante avrà sempre il lieto fine, così come – secondo Adorno in particolare, che fu anche un raffinato musicista – dalle prime note di un motivetto di musica leggera si è già in grado di anticipare la sua prosecuzione.