di Giancarlo Tommasone
Il traffico di sigarette di contrabbando rappresenta da sempre una delle voci più remunerative per le organizzazioni camorristiche napoletane e naturalmente il clan Contini non fa eccezione. Anzi. C’è un intero capitolo, nel «tomo» dell’ordinanza contro l’Alleanza di Secondigliano, dedicato all’affare che la cosca del Vasto-Arenaccia porta avanti in Ungheria. Viaggi a Budapest per trattare i carichi e per rifornire il mercato napoletano, partendo da quello del Borgo Sant’Antonio Abate. Il business, come vedremo, ha pure bisogno di espedienti, di colpi ad effetto, per essere imbastito.
«L’organizzazione del traffico è piramidale», scrive il gip Roberto D’Auria, e a «guidare le operazioni» c’è Giuseppe Ammendola, «il quale dava l’assenso ed era destinatario di parte dei proventi dell’attività». Il gruppo che, in particolare, gestisce il business dell’import dall’Ungheria, è quello che fa capo a Vincenzo Tolomelli.

Ma dalle indagini è emerso anche il coinvolgimento di «vari soggetti, per lo più appartenenti alla famiglia Cristiano», individuabili ad esempio in «Enrico Mecheri, cognato di Antonio Cristiano; in Tommaso (figlio di Antonio), Fabio e Maurizio Cristiano (fratelli di Antonio)».
Quest’ultimo gruppo è quello deputato a mantenere
i contatti con i fornitori ungheresi. Con i quali, poi,
per l’acquisto dei carichi di «bionde» dovranno interfacciarsi i corrieri del clan, per contrattare il prezzo
e per stabilire la quantità di sigarette da portare in Italia.
I viaggi di andata si effettuano a bordo di veicoli presi a noleggio, che si lasciano evidentemente a chi dovrà effettuare il percorso a ritroso da Budapest a Napoli con il carico. Chi è arrivato in Ungheria con detti mezzi, userà l’aereo per ritornare in Patria. In terra ungherese, il sodalizio criminale può contare anche su un deposito, dove stoccare la merce in attesa di partenza.
Si va dai viaggi con settanta casse di sigarette,
fino ad arrivare a quelli che superano
abbondantemente il centinaio di «colli».
Ognuno partecipa all’affare che di volta in volta si presenta, con una quota di investimento (sorta di retaggio degli «antichi» buoni dei contrabbandieri) e trarrà il proprio profitto. Naturalmente, è inutile ribadirlo, c’è sempre la parte che viene destinata alle casse del clan.
Dall’attività di indagine, riportata nell’ordinanza, emerge pure quanto sia importante per la riuscita del business, l’immagine che la cosca riesce a dare ai potenziali «partner». C’è un episodio che meglio degli altri evidenzia i contorni kitsch e tristemente «ridicoli» di certe operazioni, anche se risultano lo specchio degli ambienti malavitosi. C’è da organizzare una riunione, a Napoli, con «personalità di spessore (trafficanti di sigarette di contrabbando) provenienti dall’Ucraina».
A detto incontro, annotano gli inquirenti,
«Vincenzo Tolomelli, Maurizio e Antonio Cristiano
si sarebbero dovuti recare in pompa magna».
Per far colpo sui trafficanti, attraverso l’ostentazione dello spessore criminale, sì da dimostrare il loro peso sul territorio, i tre avrebbero dovuto presentarsi all’appuntamento a bordo di un’auto di lusso, vestiti di tutto punto e soprattutto seguiti da una assai fornita schiera di motorini, a mo’ di scorta.

Ciliegina sulla torta, per riuscire nell’intento di conquistare il favore degli ucraini, Vincenzo Tolomelli, è scritto nell’ordinanza, «non avrebbe esitato, peraltro, a contattare un suo amico, titolare di un locale a luci rosse, presso il quale avrebbero accreditato i loro ospiti, pagando per loro ogni genere di consumazione». Scelta quest’ultima che sarebbe stata gradita ai trafficanti di sigarette dell’Est. «Quelli gli ucraini impazziscono», commentano, intercettati, i sodali.