Il racconto del pentito Umberto Venosa: «Quarantamila euro mensili alla famiglia Schiavone» per la cassa comune
Il monopolio delle mozzarelle fruttava, e bene, al clan dei Casalesi. Tanto bene che Walterino Schiavone, figlio di Francesco detto Sandokan, poteva contare su di una «mesata» di oltre quattromila euro. Un particolare che emerge dall’interrogatorio del pentito Umberto Venosa contenuto negli atti dell’inchiesta sui Casalesi del giugno 2021. La famiglia Schiavone, come raccontato in precedenza da Stylo24, comprava mozzarella di bufala e fiordilatte da alcune cooperative locali e imponeva l’acquisto del loro prodotto (a prezzi maggiorati) ai ristoratori di Caserta e provincia, inoltre la spedivano anche in altre zone della Campania (come Ischia e Capri) e dell’Italia.
Come nacque il monopolio nel Casertano
Il pentito racconta anche di come nacque il monopolio nel Casertano, ricostruzione confermata anche dalle parole di un altro affiliato passato a collaborare, Attilio Pagano. «Walter si presentava come esponente della famiglia Schiavone – afferma Venosa – e mi risulta che le mozzarelle che prima venivano vendute nella provincia di Caserta ed in particolare Casale e comuni limitrofi, a seguito della distribuzione operata da Walter, non sono state più vendute». Particolare riferito a Venosa dallo «stesso Walter, che addirittura mi regalò pure una busta della mozzarella quando mi incontrai con lui e parlai di questa circostanza nei pressi del Cinema Fare di Casal di Principe». Ma il clan non si accontentava di venderla all’ingrosso.
L’organizzazione criminale, che come tutte le cosche ha una mentalità imprenditoriale, poteva contare anche su punti vendita di proprietà. Così anche il figlio di Francesco Schiavone Sandokan, che tra i vari possedimenti annoverava anche una salumeria a Casal di Principe. Lo spiega il pentito aggiungendo: «Ricordo che mandavamo a lui i soldi spettanti mensilmente alla famiglia Schiavone pari a diciasettemila e cinquecento euro da maggio 2013 al mese di agosto del 2013». Oltre 17mila euro per quattro mesi. Ma non solo, Walterino Schiavone pensava anche agli altri affiliati. «Oltre questi soldi che erano fissi – spiega ancora il pentito – mandavamo trentacinquemila o quarantamila euro mensili alla famiglia Schiavone che restavano nella gestione della cassa comune, in particolare a Schiavone Walter il quale a sua volta utilizzava questi soldi per fare gli stipendi alla sua lista personale».