Il pentito Tamburrino ricostruisce il momento in cui i Di Lauro, scoperto che dietro l’omicidio Montanino-Salierno ci fossero gli Scissionisti, decisero di passare all’azione: «Tutti dovevano avere terrore. Il primo obiettivo, indicato da Marco, fu il padre di Rito Calzone»
Tutti dovevano essere sterminati e nessuno avrebbe avuto scampo, compresi i parenti. Sarebbe iniziata così, con questa manifestazione di intenti da parte del boss Cosimo Di Lauro, la prima faida di Scampia del 2002. Parola del super pentito Salvatore Tamburrino, fedelissimo del fratello minore Marco Di Lauro, testimone oculare del momento esatto in cui il primogenito di “Ciruzzo ’o milionario” diede ordine ai propri affiliati di dare il via alla strategia del terrore per vendicare la morte violente di Fulvio Montanino e Claudio Salierno.
L’inquietante circostanza è stata rivelata da Tamburrino nel corso dell’interrogatorio al quale è stato sottoposto il 23 ottobre 2019. Quel verbale oggi è confluito nell’ordinanza di custodia cautelare che poche settimane fa ha colpito la cosca secondiglianese e il suo presunto reggente, Vincenzo Di Lauro: «Dopo che Paolo Di Lauro passò la direzione del clan al figlio primogenito Cosimo nel 2002, prima del blitz che portò alla latitanza di Paolo stesso, la gestione del clan avveniva in modo collegiale, nel senso che Cosimo era il capo del clan ma per una questione loro, di natura familiare, di rispetto, sentiva il parere e il consiglio e cercava di condividere la decisione con i fratelli Ciro e Marco. Vincenzo a quel tempo no perché era in carcere».
Entrando invece nel merito del casus belli, Salvatore Tamburrino ha ricordato: «Dopo l’omicidio Montanino-Salierno andammo tutti da Cosimo, il quale non aveva ancora capito che l’omicidio venisse dagli Scissionisti e anzi pensava alla Masseria Cardone». Ben presto l la matrice del delitto fu però chiara: «Da Raffaele Rispoli che aveva saputo da Tina Rispoli e da Maria Rispoli, le sorelle, apprendemmo del coinvolgimento di Gennaro Marino il “Mckay”. Per Cosimo l’omicidio di Fulvio Montanino era un attacco alla sua famiglia di sangue, per cui si doveva scatenare una guerra, fare una strage». Il collaboratore di giustizia ripercorre quei giorni tremendi, fatti di odio insanabile, spiegando il piano di morte che di lì a breve Cosimo Di Lauro avrebbe deciso di attuare.
Stando a quanto riferito dal pentito, il boss decise, almeno in un primo momento, di non punire gli affiliati rivali, optando invece per la strategia della vendetta trasversale: «Quanto apprendemmo che vi era un’alleanza degli Scissionisti contro di noi, Cosimo disse, anche in mia presenza, che si doveva sterminarli tutti, perché avevano tradito e perché avevano ucciso Fulvio Montanino, un fratello dei Di Lauro. Ciro e Marco, che erano presenti, concordarono con Cosimo. Già si facevano nomi di obiettivi, tra cui la famiglia di Rito Calzone e di Lucio Carriola, si parlò anche della sorella di Abete». E ancora: «Si parlava di prendere i parenti perché Cosimo voleva mettere terrore a tutti. I fratelli Marco e Ciro condivisero in pieno la strategia e anzi ricordo che Marco propose quale obiettivo il padre di Rito Calzone, che poi non fu preso perché erano spariti proprio».
Nei giorni successivi al duplice omicidio non mancarono però momenti di tensione e contrasti all’interno dei Di Lauro: «Ci spostammo – ha aggiunto ancora Tamburrino – nel rione dei Fiori e Patrizio De Vitale salì da Cosimo per dirgli che stava sbagliando a partire dalla cosa, ossia dai parenti, mentre invece andavano ricercati obiettivi di rilievo. Ma Cosimo non ragionava più, gli diede del vigliacco e gli sputò in faccia. Aggiungo che Cosimo in quel periodo beveva in modo smodato, sia alcolici che superalcolici. Cosimo ebbe un incontro con il padre e quando tornò, io ero presente, disse che omissis. Quindi la prima faida è una decisione collegiale di Cosimo, Marco e Ciro Di Lauro, con l’appoggio, per quanto si sapeva, di Paolo Di Lauro. Si iniziò a incendiare case e negozi dei parenti degli Scissionisti, tra cui le case di Cesare Pagano a Casavatore».