di Giancarlo Tommasone
Sparuto agg. [forma ant. del part. pass. di sparire]. – 1. Che si mostra smunto, deperito ed emaciato, soprattutto nel volto, di solito come conseguenza di uno stato di sofferenza o di tensione psico-fisica. 2. a. In usi fig., che è in numero esiguo, quantitativamente irrilevante (fonte treccani.it). Ci siamo capiti, ecco cosa vuol dire sparuto.
Fa riflettere allora, che il cittadino presidente della Camera, Roberto Fico, debba fare appello alle spiegazioni
del deputato azzurro Giorgio Mulè
(ex direttore di «Panorama»)
per comprenderne il significato
Cosa che non ci aspetteremmo da uno come Fico, non solo per il ruolo istituzionale che ricopre (la terza carica dello Stato), ma per la sua laurea in Scienze della comunicazione (conseguita all’Università degli Studi di Trieste con indirizzo alle Comunicazioni di massa. Appunto).
Ma non ci vuole una laurea per comprendere il significato di sparuto, basterebbe un dizionario, uno di quelli economici, roba da dieci euro
Ben poca cosa rispetto alle consulenze per centinaia di migliaia di euro a cui si affida il Movimento 5 Stelle (e lo stesso gruppo grillino alla Camera). Nonostante ciò, non vi è stato un consulente che negli ultimi mesi sia riuscito a spiegare il significato di un aggettivo di uso alquanto corrente e comune. «Signor presidente, sparuti rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi», comincia così l’intervento di Mulè alla Camera. Al che Fico chiede: «Che significa sparuti?». «Sparuti (nel senso)… che sono pochi. Non spariti, sparuti». «Spariti, no. Il Governo è presente, giusto per…», ribatte Fico. «Ma è sparuto perché il Governo è presente in forma sparuta», ribadisce Mulè, che si riferisce al fatto che su 24 sedie da occupare, nota la presenza solo di «quattro rappresentanti autorevoli», «dopodiché ho solo segnalato che sono sparuti, non mi pare di avere mancato di rispetto, ho solo fatto una constatazione numerica». Ma non è finita qui, dulcis in fundo. La conversazione va avanti e verso il termine del siparietto un’altra gaffe (in Italiano) del presidente della Camera. «Presidente, che lei mi interrompa, facendomi notare che sparuta è qualcosa che non le va bene, oggettivamente mi fa un po’ impressione, ecco. Signor presidente, mi consenta (di)». E Fico, sbagliando la particella pronominale, risponde: «La consento». In luogo della forma esatta e non utilizzata dal presidente della Camera. Forma esatta (quella intransitiva di consentire), che, in questo caso, è appunto: «Le (a lei) consento (di)».