di Giancarlo Tommasone
Processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. In aula, il 9 ottobre del 1998, si raccoglie la deposizione di Raffaele Cutolo. Il boss della Nco è chiamato a rispondere alle domande dell’avvocato Carlo Taormina, difensore dell’ex magistrato Claudio Vitalone (deceduto nel 2008).
La discussione, a un certo punto, verte sul presunto coinvolgimento
di Giulio Andreotti nella vicenda del giornalista ucciso.
«Avrei saputo benissimo se Riina e la mafia fossero stati protetti dal senatore Andreotti, cosa che non mi risulta. Anche perché, lo ribadisco anche in questa sede, combattevo Cosa Nostra e conoscevo perfettamente anche i loro contatti politici. Questa cosa l’ho detta anche ai pm, ma quasi sempre non si vuole sentire la verità vera. Si vuole ascoltare solo quello che si vuole, come quando si mette la monetina nel jukebox. In un caso ricordo che mi fu addirittura detto: perché difende Andreotti? Le è così simpatico?».
«Voglio precisare – continua Cutolo – che io non ho mai conosciuto il presidente Andreotti, lo ammiro solo perché è un grande statista». Il boss della Nco, dunque, esclude esistano rapporti tra mafia e Andreotti e relativi coinvolgimenti sia di Cosa nostra che del senatore nel delitto Pecorelli.
Il «professore» di Ottaviano, all’inizio della deposizione,
aveva fatto riferimento a una pistola.
Era latitante, si nascondeva ad Albanella e ricevette la visita di Nicolino Selis, affiliato alla Nco e nello stesso tempo uno dei vertici della banda della Magliana. Selis in quell’occasione chiese a Cutolo un’arma con silenziatore per uccidere un giornalista (Pecorelli, nda). Ma quella pistola che il sardo ‘domandò’ al padrino, è stata poi fornita? E chi ha materialmente ucciso il direttore di OP, Mino Pecorelli? «Non mi hanno mai detto chi lo uccise, né so se in effetti Selis avesse poi chiesto la fornitura della pistola a Paolo De Stefano (vertice dell’omonimo locale di ‘Ndrangheta, nda) e a Vincenzo Casillo, verso i quali lo avevo indirizzato perché non avevo disponibilità dell’arma richiestami».
«Posso dire che una settimana dopo il delitto Pecorelli, ho partecipato a una cena a cui presero parte, tra gli altri, anche Casillo, Alfonso Rosanova e Franco Giuseppucci (detto er Negro, vertice della Banda della Magliana, nda)», racconta ancora Cutolo.
«In tale circostanza, mi appartai con Rosanova e Giuseppucci. A quest’ultimo chiesi di confermarmi quanto dettomi da Selis, cioè che Pecorelli fosse stato ammazzato per aver riportato fatti della Magliana al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e non per fare un favore alla mafia. E Giuseppucci mi confermò che il giornalista era stato ucciso per questioni relative alla banda della Magliana e che la mafia, in quella vicenda, non c’entrava niente».
(II – Continua)