di Giancarlo Tommasone
Era un suo figlioccio, Antonino Cuomo, detto ‘o Maranghiello. Capozona di Castellammare di Stabia per la Nco di Raffaele Cutolo. Un figlioccio che il «professore» di Ottaviano «non avrebbe mai fatto ammazzare», anche se le sentenze dicono tutt’altro. Gli omicidi di Cuomo e quello della moglie di questi, Carla Campi, avvengono a distanza di un mese preciso l’uno dall’altro. ‘O Maranghiello viene raggiunto dalle furia e dalle lame di un commando formato da Pasquale Barra e Raffaele Catapano, mentre si trova in carcere a Poggioreale: è il 20 gennaio del 1980.
Il 20 febbraio dello stesso anno tocca a Campi, la prima donna
uccisa dalla camorra nell’area della provincia di Napoli.
Secondo l’accusa, Cuomo morì su mandato di Cutolo perché si era messo in proprio; la moglie, invece, avrebbe pagato la volontà di riferire ai magistrati inquirenti i segreti della Nco, quelli inenarrabili che il marito le avrebbe svelato. Una sorta di vendetta, per l’uccisione del Maranghiello, che la donna non fu in grado di consumare. La ammazzarono a Sant’Antimo, Campi era insieme al figlioletto, Antonino Jr di un anno.
A novembre del 1986 Cutolo, per quei due omicidi,
viene condannato, in primo grado, all’ergastolo.
Il 20 dicembre del 1989, il padrino della Nco, nel procedimento in uno dei successivi gradi di giudizio, è in aula per deporre. «Io non voglio parlare dei morti, ma non voglio essere condannato per aver ammazzato una donna. Cuomo, comunque era impazzito, faceva uso di cocaina e aveva contratto la sifilide. Proprio dalla moglie, che, signor presidente, faceva la prostituta», dichiara Cutolo.
L’omicidio di Cuomo, secondo il boss, avrebbe influito
anche sul comportamento futuro di Pasquale Barra,
tanto da portarlo al pentimento, per paura.
«Barra era più amico di Cuomo, che mio», dichiara il «professore» volendo far intendere che l’omicidio del Maranghiello si sarebbe consumato per ragioni diverse da quelle generate da un suo allontanamento dalla Nco. «Cuomo quando lo vidi in carcere una delle ultime volte, quasi non lo riconoscevo più. Aveva perso la testa. A Castellammare aveva fatto mettere un sacco di bombe. Fece perfino saltare in aria la succursale della Fiat, facendo licenziare 60 operai. (Sono intervenuto io), facendola aggiustare (la sede, ndr) senza prendere soldi, basta che si reinserivano gli operai per farli lavorare».