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Home La storia della camorra

«Cutolo via dall’Asinara o mettiamo una bomba sul traghetto»

di Redazione
25 Ottobre 2018
in La storia della camorra
Tempo di lettura: 3 minuti
Il fondatore della Nco, Raffaele Cutolo, deceduto il 17 febbraio del 2021

Il fondatore della Nco, Raffaele Cutolo, deceduto il 17 febbraio del 2021

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di Giancarlo Tommasone

È opinione comune che l’egemonia della Nco all’interno della camorra, raggiunga il punto più alto tra la fine del 1981 ed i primi mesi del 1982. Ciò dipenderebbe in larga misura dai rapporti che Raffaele Cutolo, attraverso Vincenzo Casillo, Elio Vaiano e Corrado Iacolare, avrebbe costruito o rinsaldato nel periodo in cui è stato occupato con la trattativa per la liberazione di Ciro Cirillo.

Nel lasso di tempo successivo al rilascio dell’assessore regionale, il padrino di Ottaviano sferrerà un attacco senza precedenti al clan Alfieri, nel tentativo di eliminare una compagine malavitosa alternativa alla Nuova camorra organizzata.

In detto periodo si inseriscono gli omicidi di Salvatore Alfieri e di Nino Galasso, rispettivamente fratelli dei boss Carmine e Pasquale.

L’apice dell’offensiva della Nco convergerà con la fase discendente dell’organizzazione, l’inizio della fine è rappresentato dall’intervento del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini che fa valere tutto il suo peso politico per il trasferimento di Cutolo all’Asinara.
Tra un rinvio e l’altro, il boss lascerà il «suo» penitenziario di Ascoli Piceno per la Sardegna, soltanto il 19 aprile del 1982.
Da quel giorno, come riporta la relazione della Commissione parlamentare antimafia, datata dicembre 1993, «si moltiplicano da parte dei cutoliani i segnali di forte scontentezza e le pressioni per ottenere il ritorno di Cutolo in un carcere del continente». Insoddisfazione, manifestata in modo particolarmente vivace – è sempre annotato nella relazione – da Vincenzo Casillo «durante incontri con Oreste Lettieri e con il giornalista Giuseppe Marrazzo».

In un fascicolo relativo a Raffaele Cutolo vi è fra l’altro
una sorta di dossier, a cura del personale di custodia,
sui colloqui tra il boss e i suoi familiari.

Insistente la richiesta espressa da parte di Cutolo per interventi esterni, con l’invito ad agire con tutti i mezzi. «Ho fatto nominare l’avvocato, se non provvede si deve reagire con la famiglia, è l’unico sistema», «devono minacciare, ammazzare, devono farmi dare i soldi, devono fare qualche cosa per me», afferma Cutolo.

I familiari, di contro, lo rassicurano, comunicandogli che «la causa è stata fissata per settembre», che « si stanno interessando tutti».

In verità, tutti, tranne la famiglia e Vincenzo Casillo, hanno cominciato a mollare il padrino di Ottaviano. I primi a sparire sono stati proprio i politici, i Servizi e i cosiddetti apparati. Illuminanti, per comprendere i livelli di tensione di quella fase, sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Claudio Sicilia, esponente della banda della Magliana, ucciso dai suoi ex sodali il 18 novembre del 1991.

Il pentito racconta di un pranzo a cui partecipa insieme a Casillo, Corrado Iacolare e Giuliano Granata (del quale Sicilia era cugino).

«Casillo rimproverava al Granata – afferma il collaboratore di giustizia – che le persone che quest’ultimo rappresentava (Francesco Pazienza e Alvaro Giardili, ndr) non avevano rispettato i patti riguardanti le garanzie e le agevolazioni nelle vicende processuali di Cutolo». A proposito del trasferimento all’Asinara, Casillo disse a Granata «che avrebbero fatto mettere una bomba sul traghetto che da Civitavecchia porta in Sardegna, così come voleva il compare (si tratta di Cutolo)».
Casillo – secondo il resoconto di Claudio Sicilia – «disse che avrebbero fatto una telefonata al giornale per avvertire della presenza della bomba, senza specificare al giornale le ragioni dell’attentato e che il Granata avrebbe dovuto fare presente ai suoi amici la vera ragione della bomba; non si voleva che si facesse scalpore; e che avvertisse i suoi amici che se le loro richieste non avessero avuto l’esito voluto, la prossima bomba sarebbe esplosa». A queste parole, amplificate dal tono minaccioso di Casillo, che aveva prospettato guai seri per l’ex sindaco di Giugliano e i suoi amici politici se i patti non fossero stati rispettati, «Granata si mise quasi a piangere, si alzò da tavola e se ne andò, a pranzo ancora in corso», dichiara Sicilia.

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