Il malavitoso del Vesuviano viene intercettato mentre parla di eventuali vittime da taglieggiare
Il boss è in carcere, e allora, la «domanda» per l’autorizzazione a chiedere il pizzo, viene presentata al cognato del reggente dell’organizzazione criminale, che lo sostituisce nell’«incombenza». Perché per le estorsioni, c’è bisogno del permesso della cosca. La circostanza emerge dall’intercettazione, allegata a una informativa di polizia giudiziaria prodotta sul clan Fabbrocino.
Misure di sicurezza / Il «check-point» del boss:
mettiamo il cancello all’imbocco del vicolo
L’«ambasciatore» del gruppo malavitoso che agisce nel Salernitano, va a parlare col cognato del boss per affrontare la questione. «Mi hanno chiamato dei comparielli di Cava (dei Tirreni, ndr). Volevano sapere se possono andare sotto (se possono andare a chiedere il pizzo) a quel paesano nostro che lavora là», afferma l’uomo. «Volevano parlare con tuo cognato – continua – perché hanno detto che sono amici suoi, però hanno saputo che sta carcerato e mi hanno chiesto di parlare con te. Io gli ho detto che ti incontravo e poi portavo l’ambasciata».
Il parente del capoclan prende tempo, è una decisione che non va ponderata, e in qualche modo, ne deve essere informato anche il reggente «titolare» del clan. E poi bisogna prendere maggiori informazioni sulla persona a cui i «salernitani» vogliono imporre l’estorsione. «Al momento non ti posso rispondere, vediamo di informarci questi dove vogliono andare a bussare, che gente sono, se li conosciamo, o che…», sottolinea il cognato del capoclan. Si tratta di precauzioni necessarie, aggiunge, anche perché ci si potrebbe trovare di fronte persone non si piegano alle imposizioni della camorra, e «va a finire che chiamano le guardie. Dobbiamo aspettare un poco».