di Giancarlo Tommasone
Domani saranno passati 198 giorni dall’aggressione ad Arturo, lo studente 17enne accoltellato in Via Foria il 18 dicembre scorso. Domani, ironia della sorte, è il giorno in cui Maria Luisa Iavarone, la madre di Arturo, compie gli anni. Lo stesso in cui si aprirà il processo a carico dei tre indagati (di età compresa tra i 15 e i 17 anni), Francesco P. C., Genny P. e A. R. che rispondono di tentato omicidio. Quello di un loro coetaneo. Stylo24 ha intervistato Maria Luisa Iavarone.

Sono passati oltre 6 mesi dall’aggressione ad Arturo. Domani comincerà il processo per i tre imputati, cosa si aspetta?
Banalmente, mi aspetto verità e giustizia. Verità perché ancora oggi, nonostante il clamore, non sono chiari, ad esempio, i ruoli che i diversi attori responsabili hanno avuto nella vicenda. Giustizia perché l’aggressione di Arturo è stata assunta simbolicamente come l’assassinio della libertà per un adolescente di girare liberamente di giorno nella sua città. Non dubito dell’assoluta professionalità dei magistrati coinvolti. Purtroppo non ho grande fiducia – non tanto nel processo – quanto nell’esecuzione penale minorile. Basti pensare che in questa stessa vicenda si sono verificati ben due fatti, abbastanza gravi. Il 17enne coinvolto aveva già ricevuto una condanna penale ed era sostanzialmente libero e il 15enne affidato ad una comunità si è ‘consentito’ la libertà di farsi immortalare in un video che è stato addirittura postato sui social. Tutto questo cosa ci racconta? Un sistema nel quale l’esecuzione penale minorile diventa una specie di beffa, che consegna ai minori un’impunità totale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. Un sistema che chiaramente urge di essere riformato.

Quanta fiducia ripone nella magistratura?
Ripongo sicuramente fiducia ed aspettativa di coraggio e responsabilità, che sono poi le gambe sui cui camminano giustizia e verità. Coraggio per assumere scelte che potrebbero essere anche impopolari, responsabilità per impegnarsi a monitorare esistenze che vanno accompagnate, non solo per una certezza di pena ma per una auspicabile sicurezza della rieducazione. Mi riferisco, in particolare, a quel quarto ragazzo C. T. di cui misteriosamente non si parla più e che sembra essersi perso nella nebulosa di una non imputabilità, che non deve significare rinuncia a qualsiasi richiamo di responsabilità educativa ai genitori e alla famiglia. La non imputabilità dei minori non è rassegnarsi al fatto che debbano continuare a delinquere. Nessun destino è già scritto, nessun contesto familiare è per forza adeguato, ma se continuiamo ad individuarli e a non far niente di concreto per loro, abbiamo già fallito.

Stanotte riuscirà a dormire?
A mezzanotte sarò ad un’iniziativa di solidarietà che l’Associazione A.R.T.U.R ha deciso di sostenere… un modo per ‘riempire di senso’ un’attesa scomoda.
Domani suo figlio sarà presente in aula?
Domani Arturo non sarà presente in aula. Una sua decisione che ho sostenuto. D’altra parte il duro lavoro con inquirenti e magistrati lo ha estenuato in questi sei mesi. Gli atti parleranno per lui.
Nei giorni scorsi il caso del video-beffa girato in comunità, quello che ha avuto per protagonista uno degli indagati per l’aggressione, è finito all’attenzione del Parlamento. Ci sono state ripercussioni per il 15enne, che tra l’altro, il 24 aprile scorso aveva lasciato il carcere minorile di Airola per «buona condotta»?
Ho saputo che, con estrema sensibilità, un parlamentare si è fatto promotore di una interrogazione su questo argomento. Ovviamente gliene sono grata. Anch’io, all’indomani della pubblicazione di quel video, ho rappresentato tutta la mia indignazione alla Questura e alla Procura. Non mi risulta, allo stato, alcuna iniziativa sia stata assunta. Credo che F. P. C. (il 15enne protagonista del video) sia ancora ospite della stessa comunità di giustizia minorile.

Una volta che il processo avrà avuto termine, otterrà o meno quella che comunemente definiamo giustizia, come si evolverà la sua personale lotta contro i fenomeni di devianza giovanile?
Evidentemente tutte le mie azioni in questa vicenda sono state protese a fare di questa esperienza qualcosa di più grande e collettivo e allora ho ritenuto che uno dei territori dove «fare giustizia ad Arturo» fosse paradossalmente «oltre» le aule del Tribunale. E allora continuerò a rappresentare la mia battaglia per una migliore giustizia sociale provando a fare qualcosa di concreto per il riscatto di tutte queste vite al limite. Esattamente quello che stiamo facendo con l’Associazione A.R.T.U.R. in collaborazione con Libera e molti altri, per assicurare possibilità e occasioni per praticare la responsabilità educativa.
Quanto crede nella giustizia, Arturo?
Purtroppo temo che Arturo abbia una grande aspettativa di giustizia ma modesti margini di speranza. Ancora una volta sarò chiamata a mediare tra queste due istanze: l’ideale e il reale. Un ulteriore faticoso terreno dove misurare la difficoltà di essere genitore. Spero che al termine di questa vicenda ci crederà ancora.