di Giancarlo Tommasone
Secondo la ricostruzione effettuata dall’accusa, il «corrispettivo» destinato al rup Giancarlo D’Anna per l’aggiudicazione di un appalto, è stato versato anche attraverso dei lavori effettuati presso la casa dello stesso ex funzionario dell’Authority. Giancarlo D’Anna, 48enne napoletano, domiciliato a San Nazzaro (comune del Beneventano) è il «testimone» chiave nell’inchiesta sul presunto giro corruttivo attuato al porto di Napoli.
Le rivelazioni
di Giancarlo D’Anna
squarciano
il velo sul sistema
corruttivo attuato
nel porto di Napoli
E’ il primo che, con le dichiarazioni rese a partire dal 4 maggio del 2017, squarcia il velo di omertà e parla del «sistema» dello scalo partenopeo per quel che riguarda l’assegnazione di gare pilotate a ditte «amiche». I titolari di dette imprese, dietro il pagamento di tangenti (che si attestavano pure intorno al 10%), si assicuravano i contratti per l’esecuzione delle opere.
Le gare finite
sotto la lente
degli inquirenti
Una delle tante gare finite sotto la lente di investigatori e magistrati è quella relativa alla «sistemazione del cancello di ingresso posto al varco Pisacane». Un’opera da ventimila euro, che però, viene portata a un valore di 50mila (con un’aggiunta del 150%). La gara sarà affidata a Giovanni Esposito (detto il castellone), a cui sono riconducibili due imprese: la Navalteam e la Navalferr.
Il «ricarico» del 150%
Che il prezzo «concordato» (tra D’Anna ed Esposito, annotano gli inquirenti) per i lavori, e pagato dall’Authority, sia esorbitante, si evince pure dalla conversazione intercettata il 28 ottobre del 2016, nell’auto dell’imprenditore Pasquale Ferrara, tra quest’ultimo e Pasquale Loffredo. «Quanto sono uscite (che prezzo è stato deciso) le due delibere che si è mangiato (Giovanni Esposito)?», chiede Ferrara. «Cinquanta patate (50mila euro)», risponde Loffredo, continuando a dire che, al massimo, per lavori del genere, ci vogliono 20mila euro.
Le intercettazioni,
l’attività di intelligence
«E’ di assoluto rilievo – è scritto nell’ordinanza -, perché dà la dimensione degli enormi profitti derivanti agli indagati dalla loro attività corruttiva, il fatto che Loffredo sottolinei che per fare i lavori in questione ci sarebbero voluti, al massimo, “20mila euro, ma pesandoli a peso d’oro”». D’Anna non può affidare le opere, dietro assegnazione diretta alla Navalteam srl, perché «vincitrice di lavori poco tempo prima». E allora le affida a Navalferr, che solo «formalmente è distinta dalla Navalteam». Entrambe le imprese, infatti, come scritto in precedenza, sono riconducibili a Giovanni Esposito, il castellone. Ma per poter utilizzare la procedura dell’affidamento diretto alle ditte di Esposito, i rup devono fare attenzione agli importi da applicare. Il 29 agosto del 2016, gli investigatori captano una conversazione molto interessante su questo fronte.
Il rup Umberto Rossi consiglia a Giancarlo D’Anna di «non cumulare» gli importi delle due opere commissionate, altrimenti supereranno la cifra dei 40mila euro, limite da non superare per effettuare la procedura di affidamento diretto. Dalle intercettazioni nell’auto di Pasquale Ferrara, intento a parlare con Pasquale Loffredo, emerge pure, che «Giancarlo D’Anna sarebbe stato pagato per il trattamento riservato a Giovanni Esposito anche con l’esecuzione di lavori presso la sua abitazione, da parte dello stesso Esposito». L’inchiesta sulle tangenti al porto di Napoli ha portato all’esecuzione di sette misure cautelari, gli indagati sono una ventina.
Le accuse contestate agli indagati
I numeri dell’operazione
Le accuse contestate sono, a vario titolo, quelle di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di corruzione, turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture. Sei persone sono finite ai domiciliari, si tratta di Gianluca Esposito, funzionario dell’Ufficio Manutenzioni area tecnica dell’Authority di Napoli (nominato rup in molte gare di appalto bandite dall’Adsp) e degli imprenditori Pasquale Ferrara, Pasquale Loffredo, Pasquale Sgambati, Giovanni Esposito, Alfredo Staffetta. Una settima misura, di interdizione dai pubblici uffici, della durata di un anno, è stata applicata nei confronti di Emilio Squillante, ex segretario generale dell’Autorità portuale.