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Poggioreale, l’evaso aiutato dall’allarme che non è scattato

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Home Inchieste e storia della camorra

Poggioreale, l’evaso aiutato dall’allarme che non è scattato

di Redazione
6 Settembre 2019
in Inchieste e storia della camorra, Notizie di Cronaca
Tempo di lettura: 3 minuti
Robert Lisowski

Robert Lisowski

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di Giancarlo Tommasone

Due inchieste, una interna del Dap, l’altra della Procura partenopea, per venire a capo di un caso che resterà negli annali del carcere di Poggioreale, perché in cento anni, dal penitenziario napoletano, nessuno era riuscito mai ad evadere. Tranne appunto, il 32enne polacco, Robert Lisowski, scappato la mattina di domenica 25 agosto. La sua fuga è durata circa 36 ore, gli agenti di polizia lo hanno rintracciato intorno alle 22 di lunedì, a nemmeno un chilometro dalla casa circondariale. Era ferito a un piede, assetato, senza un euro in tasca, né un telefono cellulare. Il detenuto, ricoverato al Cardarelli, è stato ascoltato dagli inquirenti; ha detto di aver fatto tutto da solo, progettando e attuando l’evasione senza il minimo aiuto.

L’approfondimento / Catturato l’evaso,
ma ci sono almeno otto misteri nella fuga

Relativamente a quest’ultima circostanza, i dubbi, è naturale, restano, anche se la ricostruzione delle fasi della fuga, pure grazie alla collaborazione del polacco, farebbe pensare che Lisowski abbia potuto, effettivamente, fare tutto da solo. Come da solo si è preparato dal punto di vista atletico; fisico allenato, un metro e 80 di altezza, avrebbe fatto continuamente ginnastica all’interno della cella, per non farsi trovare impreparato all’appuntamento con la libertà.

Ad aiutarlo,
poi, l’alert sonoro,
che non ha funzionato

Una volta immortalati dai monitor delle telecamere, i movimenti del 32enne, infatti, avrebbe dovuto scattare l’allarme, che invece è rimasto «muto», permettendo al fuggitivo di portare a termine la sua azione.

La testimonianza / «Impossibile
organizzare una cosa del genere da soli»

Le indagini circa il «buco» nei controlli, continuano, sia sul fronte interno (con la commissione delle «investigazioni» del Dap) che su quello della Procura. Secondo quanto è stato ricostruito, la mattina del 25 agosto, Lisowski, insieme ad altri detenuti (48 in totale, sorvegliati da 7 baschi azzurri) ha compiuto il percorso per recarsi a messa. Alla navata della chiesetta, non è mai arrivato; approfittando di un momento propizio, si è nascosto dietro un muretto, e poi ha raggiunto il terrazzo della cappella. Ha saltato coprendo circa quattro metri, e atterrando, malamente su una sorta di ballatoio (che è stato realizzato in epoca recente).

Il caso / «Embè?», don Franco provi
a dirlo ai genitori del giovane ucciso dall’evaso

E’ durante il salto che si sarebbe procurato la ferita, che lo ha reso claudicante. A questo punto il muro di cinta era solo a un metro di distanza, più in alto. Il 32enne lo ha raggiunto, e poi si è calato con la corda realizzata utilizzando un lenzuolo.

Come aveva ipotizzato il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), Donato Capece, nel corso di una intervista resa a Stylo24, il 32enne ha allestito la fune con un solo lenzuolo (si tratterebbe del proprio, che gli era stato appena consegnato).

L’intervista / «Le lenzuola sono state
nascoste sotto la maglietta»

Ha ricavato 3 strisce della larghezza di una decina di centimetri e della lunghezza di circa due metri (che gli servivano per coprire i sette metri del muro di cinta), ed ha nascosto le «bende» sotto la camicia, fasciandosi il corpo. In tal modo è riuscito a eludere i controlli, che vengono effettuati dagli agenti, con l’ausilio di un metal-detector. Con la maggiore presenza di baschi azzurri, si sarebbero potute effettuare perquisizioni personali, cosa che avrebbe inevitabilmente fatto scoprire le strisce di lenzuolo e il tentativo di fuga.

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Restano da sciogliere altri nodi: da una ispezione eseguita sul muro di cinta, appena dopo l’evasione, sarebbero emerse una serie di criticità sul piano della sicurezza. Criticità alle quali si dovrà assolutamente porre rimedio.

I punti da chiarire:
chi ha descritto
il percorso
per raggiungere
il muro di cinta,
a Lisowski?

E poi c’è da chiarire un altro particolare: come mai Lisowski conosceva così bene il percorso per arrivare al muro di cinta, tanto da compierlo in brevissimo tempo? Qualcuno glielo aveva descritto? Oppure ha raggiunto il terrazzo della cappella in qualche altra occasione, magari proprio una domenica mattina, mentre, invece di recarsi a messa, avrebbe svolto le prove generali dell’evasione?

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