di Giancarlo Tommasone
E’ difficile immaginarsi Edoardo Contini, mentre – come faceva Bernardo Provenzano – scrive messaggi sulla carta e arrotola pizzini. Ma tant’è, così lontano dal deceduto capo della cupola mafiosa nello stile di vita, ’o romano è costretto ad adottare il «metodo Binnu», quando si tratta di comunicare con gli affiliati. Telefonate zero, troppo pericolose, il boss del Vasto-Arenaccia (oggi 64enne), lo sa bene. E quindi, durante la latitanza, si è dato una regola: mai parlare al telefono, men che mai al cellulare.
Il protocollo «sicurezza» è seguito quasi alla perfezione e funziona, fino a quando la sua voce, non viene carpita in ambientale presso il covo in cui si nasconde, a Casavatore. Così finisce la clandestinità dell’uomo inserito tra i 30 latitanti più pericolosi d’Italia. E’ il 15 dicembre del 2007.

A uno scaramantico come lui, così pure lo descrivono le cronache dell’epoca, qualche informativa di polizia giudiziaria e un paio di affiliati intercettati, il mese di dicembre non deve portare granché bene. Tanto è vero che l’ultimo giorno del 1994, i carabinieri stanano Contini (che si era dato 5 mesi prima) in una villa a Cortina d’Ampezzo, mentre si sta preparando per il veglione di Capodanno.
Quando verrà catturato nel 2007, i poliziotti
della Mobile di Napoli, troveranno, invece, una serie
di pizzini, che il boss avrebbe scambiato con appartenenti al clan e con i «responsabili» della sua latitanza.
Gli investigatori, al tempo, ricostruirono come il boss del Vasto-Arenaccia, fosse così accorto a non lasciare indizi della sua presenza, tanto che aveva disposto che la sua biancheria non venisse lavata. La utilizzava una sola volta e poi la faceva gettare, facendone comprare altra. Ma tornando ai pizzini, che inevitabilmente accostano Contini a Bernardo Provenzano (che comunicava soltanto attraverso questo tipo di messaggi) ne viene fatta ampia menzione nell’ordinanza relativa all’ultimo blitz scattato contro l’Alleanza di Secondigliano, alla fine dello scorso giugno.

I messaggi sono stati rinvenuti nel covo di Casavatore. Si va da quelli in cui ’o romano stila l’elenco delle persone vicine al clan a cui far pervenire un regalo in occasione delle festività, a quelli con i quali si convocano i «fiduciari» per un incontro col latitante.
«Far app Michelin. Ghigh. Monello. Raimond. Forman; merc Mi serata; Giov Michelin ore 19; Ven Ghigh ore 18; sab cena Monello; Dom Formen 21/22; Lun sera Mi». Dalla scrittura elementarmente criptica adottata, non è difficile stabilire, per gli inquirenti, che i pizzini contengano la richiesta di una serie di appuntamenti con i «sodali» e con uno dei familiari (Michelin, sostengono gli inquirenti, è ad esempio, l’alias utilizzato per indicare Gabriele Contini, figlio di Edoardo). Alcuni «fiduciari» compaiono tra gli indagati della ordinanza in questione.
Il ruolo di postino è svolto da un fedelissimo, una sorta
di «staffetta» che deve saper svolgere il suo compito
alla perfezione, se non vuole far saltare tutto.
E’ lui, quello che ha la responsabilità maggiore e l’incarico più delicato. Pure il postino è contattato dal boss, tramite messaggi scritti su foglietti di carta arrotolati, e veicolati in uscita, da chi gestisce la latitanza di Contini. «Stasera passare per mani ritirare missive», scrive il camorrista, chiedendo al «portalettere» che vengano ritirati i pizzini dai vari affiliati. Il metodo utilizzato, naturalmente, è un modo, l’unico a disposizione, per dettare la linea del clan.