di Luisa Liccardo
Il recente caso di stupro di Palermo sta facendo molto riflettere e discutere. Ciò non solo per la feroce violenza perpetuata ai danni della ragazza di 19 anni, ma anche per la reazione sia della madre di uno dei sette indagati che dell’amica della vittima.
Mentre la prima ha consigliato al figlio di distruggere le prove e di far ricadere la colpa sulla giovane donna – come spesso accade in questi casi- la seconda si è scagliata contro la ragazza, rea di aver denunciato i suoi aggressori.
Questa drammatica storia si è rivelata lo specchio distorto della società in cui viviamo. Una società in cui i principi e i valori che ci rendono «umani» sembrano dissolti. Per molti, è arrivato il momento di riflettere sull’attuale ruolo della genitorialità e sull’importanza di coltivare il rispetto e l’empatia.
L’empatia, infatti, non è una dote innata ma qualcosa che si sviluppa attraverso l’educazione e le interazioni sociali. I genitori, in tal senso, hanno la responsabilità di instillare nei figli la cultura dell’empatia e della responsabilità. Sottrarsi a questo dovere significa correre il rischio di formare individui disfunzionali e contribuire alla spirale del degrado sociale.
Ognuno è responsabile delle proprie azioni e delle conseguenze che ne scaturiscono. Questa è una delle principali lezioni che un genitore dovrebbe impartire ai figli. Tuttavia, si è molto più inclini a giustificare o a proteggere la propria prole. Certo, l’istinto di protezione è comprensibile ma pericoloso se eccessivo. Nel caso dello stupro di Palermo, la madre ha perfino cercato di aiutare il figlio, presunto aggressore, non solo a eludere la giustizia, ma anche il concetto di responsabilità personale.
Tra i genitori si è diffusa la malsana tendenza a voler essere amici dei figli piuttosto che una guida morale ed etica. Il rischio è di non riuscire ad aiutarli a diventare adulti autonomi, responsabili e capaci di affrontare le sfide della vita. I giovani hanno bisogno di imparare a gestire le proprie emozioni, a comprendere la differenza tra realtà e finzione, e a rispettare gli altri, soprattutto se deboli o vulnerabili.
In questo contesto, il comportamento dell’amica della vittima va attenzionato. Da sempre, gli amici ricoprono il ruolo di sostenitori emotivi, specie nei momenti di difficoltà. Tuttavia, la vittima dello stupro è stata vessata e offesa dalla stessa amica perché ha osato denunciare i suoi aggressori.
Accusare la vittima anziché offrirle supporto è un atto di «victim blaming», un fenomeno socialmente e psicologicamente deleterio che consiste nel colpevolizzare la vittima assolvendo i carnefici. In questo modo, chi è vittima di abusi sessuali si sente ancora più isolato e stigmatizzato. Denunciare in questo caso diventa ancora più difficile.
In questa brutta vicenda, tuttavia, il coraggio della vittima è l’unico seme di speranza. Le enormi barriere emotive e sociali non hanno fermato questa giovane donna di 19 anni che ha scelto di percorrere la strada più difficile ma giusta: denunciare. Attraverso il rifiuto di rimanere in silenzio e la voglia di lottare per la propria dignità ha dimostrato a tutti, anche a chi la etichetta come quella che se l’è cercata, cosa significhi veramente essere resilienti.