Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Illiano: poi gli Amato e i Pagano si incontrarono e non se ne fece più niente
Un «regalo», 30mila euro per un omicidio, che non fu portato mai a termine. La circostanza emerge dalle dichiarazioni fatte mettere a verbale dal pentito Giovanni Illiano, il 7 febbraio del 2013. Il pentito, ex killer del gruppo Amato, racconta delle dinamiche che si consumano nell’area nord, durante la guerra tra le fazioni in lizza. «Io e S. ricevemmo l’ordine dal reggente degli Amato, di uccidere Vincenzo e la sua squadretta, e quella di Mario Riccio (detto Mariano, genero del boss Cesare Pagano), dovevamo uccidere anche un’altra persona, dopo la scomparsa di Antonino D’Andò», spiega il collaboratore di giustizia.
Che poi, rivolgendosi al pm, aggiunge: «Per come lei mi chiede, e come ho già detto in altro interrogatorio, l’ordine di uccidere la squadretta di Riccio, ed eventualmente anche quest’ultimo, nel caso in cui fosse intervenuto a difesa dei suoi uomini, era determinata dal fatto che gli Amato ritenevano Riccio e i suoi uomini responsabili della morte del D’Andò. Mentre la decisione di eliminare Vincenzo e la sua squadra, era dovuta al fatto che questi (Vincenzo) teneva in mano i soldi di Mariano, poiché gestiva per lui il settore delle estorsioni e poi gli trovava i prestanome».
L’ordine / Il boss mi disse: a quello sparagli
in faccia con tutte e due le pistole
Alla fine, però, le azioni non si concretizzano. «Poi non li abbiamo uccisi – racconta Illiano – perché dopo la cacciata degli Amato-Pagano da Secondigliano, in seguito alla prima spaccatura nel cartello scissionista, l’allora reggente degli Amato e Mariano Riccio si incontrarono, e noi avemmo l’ordine (dagli Amato, ndr) di non uccidere più queste persone (i nemici, ndr). «Voglio precisare – dice ancora il pentito – che il mandato di uccidere fu dato a me e a (un altro affiliato), io poi l’ho riferito al S., e per questa attività, mai svolta, io ho ricevuto un regalo di 30mila euro, e S. di 20mila».