L’ultima «zampata» dell’ex re della camorra del rione Sanità: «È artefice della morte di Assunta. Raccontò che quando sarei uscito dal carcere Gennaro Licciardi sarebbe tornato a mangiare banane sull’albero».
di Luigi Nicolosi
Un odio viscerale e ancora oggi mai sanato. È questo il sentimento che da quasi trent’anni caratterizza e avvelena il rapporto – ormai a debita distanza di sicurezza – tra i vecchi re della camorra del rione Sanità e l’Alleanza di Secondigliano. Uno scontro atroce, culminato a più riprese in efferati spargimenti di sangue. Su tutti il clamoroso agguato consumatosi sull’autostrada Caserta Sud-Napoli, costato la vita al ras Alfonso Galeota e ad Assunta Sarno, consorte dell’allora boss Giuseppe Misso. Da allora gli assetti della mala partenopea sono stati profondamente stravolti e i responsabili della strage – nel raid rimasero ferite anche altre due persone, Giulio Pirozzi e Rita Casolaro – in parte assicurati alla giustizia. Ancora oggi quell’oscura pagina di camorra continua però a sviscerare retroscena inediti. A fornire l’ultimo è l’ex boss Peppe Misso “’o nasone”, che puntando il dito contro la ras Maria Licciardi accusa: «Fu in un certo senso artefice della morte di Assunta Sarno perché riportò alla sua famiglia le offese che Assunta Sarno aveva pronunciato in udienza nei confronti di Gennaro Licciardi».
La circostanza è stata messa a verbale dal boss pentito nel corso dell’interrogatorio al quale è stato sottoposto il 3 luglio del 2007. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, ma quel documento è stato desecretato soltanto oggi: è infatti riportato all’interno dell’ordinanza di custodia cautelare che poche settimane fa ha nuovamente portato dietro le sbarre la capoclan della Masseria Cardone. Le dichiarazioni di Misso, stando all’ipotesi accusatoria, rappresentano uno degli elementi fondanti del teorema per il quale “’a peccerella” sarebbe attualmente uno dei principali elementi di vertice dell’Alleanza di Secondigliano. Sul punto, “’o nasone” ha fornito una breve ma circostanziata dichiarazione: «Altro capo della famiglia Licciardi – ha dichiarato – era la sorella Maria Licciardi, detta “’a peccerella”, la quale fu in un certo senso artefice della morte di Assunta Sarno perché riportò alla sua famiglia le offese che Assunta Sarno aveva pronunciato in udienza nei confronti di Gennaro Licciardi».
Parole di fuoco, i cui esiti furono a dir poco drammatici: «Affermò che quest’ultimo (Gennaro Licciardi, ndr) poteva fare il capo solo perché Giuseppe Missi era detenuto e che quando fosse uscito il fratello Gennaro sarebbe tornato a mangiare le banane sull’albero. Anche il marito di Maria Licciardi, Antonio Teghemie detto “James” (che non è però coinvolto in questo procedimento, ndr) fa parte del clan con il ruolo di capo». All’epoca – vale la pena ricordarlo – anche Maria Licciardi venne indagata per la strage dello svincolo Afragola-Acerra, il gip ritenne però di non accogliere la richiesta di custodia cautelare avanzata dalla Procura. Quasi trent’anni di veleni e rancori, che ancora oggi continuano a fare capolino negli atti giudiziari dell’attuale mala napoletana.