«La persona serena procura serenità a sé ed agli altri» (Epicuro)
Carlo Ancelotti,l’uomosaggioeserenocheovunquehatrionfato, ci ha con dolcezza e sopraffina forse inconsapevole abilità, riacceso l’animo addolorato. Nel corso della scorsa estate, orfani della Bellezza Sarriana, faticavamo a cacciare via l’idea che il futuro azzurro si colorasse di grigio. Eppure l’uomosaggioeserenocheovunquehatrionfato , naturalmente conscio del mantra epicureo, non mancava conferenza stampa in cui provasse a rassicurarci. Ci rassicurava sulla qualità della squadra, sulla forza potenziale dei nuovi arrivi, sulla bontà del progetto.
Ma noi, scettici impenitenti eppur giustificati perché testimoni di percorsi di gioco
e vittorie presumevamo irripetibili,
poco convinti sorridevamo alle sue parole
Non ci permettevamo certo di contrastarne i concetti espressi. E pensavamo che fosse perché chiunque abbia coscienza di calcio conosce e sa chi è Carlo Ancelotti. In realtà non controbattevamo perché fin dall’inizio l’inevitabilità dei concetti espressi e la sua profonda e totale conoscenza dell’argomento in essere, il calcio, riempivano le fondine del nostro entusiasmo, vuote delle pistole sarriane, mitiche armi con cui si era andati negli anni precedenti all’assalto del Palazzo.
E non ce ne accorgevamo ma l’uomosaggioeserenocheovunquehatrionfato, pian piano, quasi di nascosto, cambiava i connotati alla squadra non solo mantenendone le fantastiche peculiarità ( capacità di palleggio insistito, propensione al dominio della partita, qualità offensiva di sopraffina caratura), ma addirittura migliorandola in alcuni aspetti come la gestione dei momenti difficili che in una contesa inevitabilmente esistono.

E come a noi, milioni e milioni di innamorati azzurri, cosi anche ai 24 giocatori, ha regalato serenità. Quella serenità che ha fatto sì che la squadra mutasse pelle, fino a completare, incredibilmente in breve tempo, la metamorfosi da squadra Speciale a squadra Normale. Normale nel senso più alto e nobile, perciò egualmente se non più forte della squadra meraviglia degli ultimi tre anni.
Normale perché attacca quando deve attaccare,
e si difende quando arriva la tempesta
Normale perché democratica, in quanto tutti i giocatori sentono di poter portare il proprio granello di sabbia necessario alla costruzione del castello dei sogni. Anche gli insospettabili, come Sebastiano Luperto, giovane di belle speranze che si sente forte anzi fortissimo e poi davvero lo è, perché convinto dall’uomosaggioeserenocheovunquehatrionfato.
Normale perché questa è una squadra che ha conoscenze ma non ha la pretesa di imporle, perché non crede che la vittoria dipenda da questo. Crede che la vittoria dipenda dal mantra del suo nuovo capo, Carlo Ancelotti. La chiave è la serenità. E come da idea di altro filosofo greco, Epitteto, «non devi cercare di far in modo che la cose vadano come vuoi, ma accettare le cose come vanno: solo così sarai sereno».
E questa è una squadra
che non impone il proprio pensiero,
ma non si dimentica mai di averne
uno straordinario che la guida alla vittoria
Perché, checché ne dicano gli scontenti ad oltranza, questa è una squadra che vince. E anche parecchio. E che ha la sola epocale sfortuna di convivere con una rivale insaziabile, più potente e più ricca, e quindi spesso oggettivamente più forte. Negli ultimi anni quanti scudetti avremmo vinto senza la Juventus? Almeno altri due oltre quello vinto da noi l’anno scorso. Noi siamo i novelli Raymond Poulidor, i novelli Felice Gimondi. Loro sono i nostri Jaques Anquetil, i nostri Eddie Merckx.
Certo gli Anquetil ed i Merckx evitavano
di rubacchiare impunemente, ma il paragone ci sta
Carlo Ancelotti insegna agli eterni scontenti che il progetto Napoli è un progetto sano, con tutti i difetti che anche il migliore dei progetti porta inevitabilmente con sé. E soprattutto insegna che il viaggio meraviglioso consiste nell’arrivare al massimo delle proprie potenzialità e che, come scriveva l’ottimo Romano Battaglia, giornalista e scrittore italiano di qualche tempo fa ma non troppo, «per essere sereni, bisogna conoscere i confini delle proprie possibilità, e amarci come siamo». Ecco. Amiamoci per come siamo. E perdonatemi di cuore se ho smesso di parlare di calcio qualche rigo fa.
Azzurramente, Peppe Miale