“Damocle è un membro della corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa. Egli sostiene, in presenza del tiranno, che quest’ultimo sia una persona estremamente fortunata, potendo disporre di un grande potere e di una forte autorità. Dionigi gli propone allora di prendere il suo posto per un giorno, così da poter assaporare tale fortuna. Damocle accetta. La sera si tiene un banchetto durante il quale Damocle incomincia a tastare con mano i piaceri dell’essere un uomo potente; solamente al termine della cena nota, sopra la sua testa, la presenza di una spada sostenuta da un esile crine di cavallo. Dionigi l’aveva fatta sospendere sul suo capo perché capisse che la posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi minacce per la sua incolumità. Immediatamente Damocle perde tutto il gusto per i cibi raffinati che sta assumendo, nonché per i bellissimi ragazzi che gli stanno intorno e chiede al tiranno di poter terminare lo scambio, non volendo più essere così fortunato.” (Cicerone, Tusculanae disputationes)
Se Damocle fosse ancora vivo, non sarebbe un tifoso del Napoli. Laddove fosse mai possibile chiedere alla tiranna del nostro campionato ed ai suoi lacchè di giallo arbitrale togati, di poter prendere il suo illegittimo posto sul trono (illegittimo non sempre per carità e amore di verità, l’anno scorso certamente), nessuno di noi anelerebbe rigettare lo scambio.
Innanzitutto immediatamente sostituiremmo l’esile crine di cavallo, molto più probabilmente di traditrice zebra, con un più rassicurante e nodoso crine di ciuccio, e serenamente sotto la terribile punta omicida continueremmo a banchettare felici e trastullanti. Faremmo così, pur di stare su quel trono che aneliamo da sempre. Fuor di ciceroniano racconto e tornando alla metafora, la spada di Damocle nei secoli è poi divenuta il segno distintivo dell’insicurezza derivante dall’assunzione di un grande potere, e di questo posso dare certezza che non vi è nei nostri cuori azzurri alcuna traccia.
Ma più genericamente
ancora viene usata per indicare
un grave pericolo incombente,
o un possibile pericolo
di cui non si sa
il momento in cui possa
concretizzarsi
E anche qui sussiste l’errore o l’eccezione che dir si voglia. Noi tifosi del Napoli sappiamo con certezza assoluta quando il pericolo grave può palesarsi concreto. Sempre. Sempre. Sempre. Al netto di eventi privati tragici o simil tali di cui ognuno di noi può farsi portatore, non credo ci sia al mondo nulla nella vita che mi abbia fatto soffrire di più e per più volte dei colori bianconeri.
Ricordo il velo di serena tristezza di mio padre (malato azzurro sano, a differenza mia…) quando mi raccontava del Napoli di Vinicio e di un gol all’ultimo minuto di core ‘ngrato Altafini. Ricordo me stesso dodicenne che con vibrante speranza, nel maggio del 1981, attraversavo con la metropolitana una città rivestita di azzurri stendardi che non riuscivano a coprire le ferite del terremoto.

Pensavo ingenuamente, e forse anche egoisticamente, che la bilancia della vita avrebbe fatto sì che tanto dolore potesse essere in parte rasserenato dalla gioia infinita che avrebbe procurato la vittoria del Napoli in quel pomeriggio torrido.
Torrido come solo può essere definito un pomeriggio di maggio trascorso nel settore dello stadio nominato distinti, fronte sole (“’O sole d’’e distinti” citano ancora oggi i pochi cantori ancora in vita. Vista la ormai totalizzante rappresentazione serale dell’evento partita, è molto probabile che il sole si sia altrove posizionato). Speravo… sognavo.
Ma giustamente il centrocampista di discrete qualità
Vinicio Verza da Boara Pisani, decise diversamente: 1 a 0 per loro
Ottantamila anime tristi e un silenzio torrido almeno quanto il sole dei distinti. Ricordo ancora del febbraio 2016 e dell’inizio della Sarriana Era in cui un Napoli timido come non lo sarebbe stato il 22 aprile di due anni più tardi, stava però portando a casa un meritato pareggino che l’avrebbe in ogni caso tenuto in vetta alla classifica.
Ma, giustamente, l’attaccante di discrete qualità Simone Zaza diversamente decise in collaborazione con ladeabendatacheconlorocivedebenissimostronza!, che si palesò in una maledetta deviazione dell’innocuo tiro da parte del nostro meraviglioso Raul Albiol: 1 a 0 per loro. Ricordo il succitato 22 aprile del 2018.
Ricordo di una città che trasportò con il proprio entusiasmo un manipolo di eroi a loro volta capaci di creare leggenda, dominando in terra straniera. Ricordo di essere assisi al trono. Ricordo pochi giorni dopo, un lacchè dalla canottiera bianconera ma di giallo vestito, di nome Orsato Daniele, che ingiustamente e proditoriamente, a guisa di sudamericano golpe militare, taglia l’esile crine di cavallo e fa sì che la spada di Damocle colpisca a morte il Re Azzurro. Con crine di ciuccio dovevamo sostituirlo. Con crine di ciuccio!!! Ricordiamocene se un giorno dovesse ricapitare di assurgere. Ricordiamocelo. Magari alle 19 e 50 di sabato pomeriggio. Ricordiamocene.
Azzurramente, Peppe Miale