di Giancarlo Tommasone
Circostanze che risalgono a più di trent’anni fa, accuse che in molti casi riguardano persone decedute e sono state considerate «non riscontrabili», né tanto meno utili per procedimenti da imbastire. E’ questa la sfera delle dichiarazioni dell’aspirante collaboratore di giustizia, Pasquale Scotti.
Per molti, l’ex vertice
della Nco, l’associazione fondata
da Raffaele Cutolo,
sarebbe stato il depositario di segreti inenarrabili destinati a scuotere
dalle fondamenta ciò che resta di una certa branca della politica degli anni Ottanta
Che, secondo le ipotesi accumulatesi per tre decenni (quelli della latitanza di Scotti, arrestato in Brasile nel 2015), attraverso «tentacoli» mai recisi, sarebbe arrivata a infiltrare inevitabilmente molti strati del tessuto sociale, economico e politico di Napoli, provincia e Campania, fino ai giorni nostri.
Ma Pasquale Scotti ha visto bocciare ancora una volta
il suo status di collaboratore di giustizia, status a cui aspira,
in maniera infruttuosa e fallimentare dal 2016
L’ultimo atto nella giornata di ieri, quando il Tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso dell’ex padrino di Casoria, meglio conosciuto negli ambienti della malavita col soprannome di ’o collier.
La collaborazione con la giustizia comincia nell’estate del 2016 (l’ex boss era stato estradato in Italia a marzo dello stesso anno) e si protrae per sei mesi. Sono quelli in cui rende dichiarazioni, che nell’immaginario collettivo e nelle speranze degli inquirenti avrebbero dovuto fare luce su anni di crimini, di collusioni e di affari illeciti sul nostro territorio.
Di collegamenti tra camorra, servizi deviati e politica.
Di intrecci che sarebbero arrivati fino a Roma
Fatto sta che il pool anticamorra coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, decide, al netto del vaglio di quanto dichiarato da Scotti e dei riscontri effettuati, di non chiedere che per il 60enne, si applichi il programma definitivo di protezione. L’interruzione ratificata anche dalla Procura nazionale antimafia, non ha comunque fatto recedere Scotti dalla volontà di collaborare, o meglio di veder riconosciuto il suo status di collaborante, tanto che ha presentato ricorso al Tar. Ma, come riportato da Leandro Del Gaudio sull’edizione odierna de «Il Mattino», proprio ieri è arrivato il rigetto dell’istanza presentata da Scotti.
L’ex padrino, aveva cercato di far valere le sue ragioni, facendo riferimento all’esistenza di una procedura che era stata già approvata dalla Procura. E che, dunque, non poteva essere revocata. Nei fatti è andata in maniera diversa: è stata confermata la legittimità del dispositivo adottato dai pubblici ministeri partenopei.
Scotti, dunque, seppur resta detenuto in regime differenziato, per motivi precauzionali, non potrà certo accedere ai benefici previsti per i collaboratori di giustizia. Semplicemente perché non lo è.