di Giancarlo Tommasone
E’ un ex affiliato al clan Mariano dei Quartieri Spagnoli, Maurizio Overa, arrestato nel 2015 e passato a collaborare con la giustizia, un anno dopo. Il verbale, resoconto di un interrogatorio del 12 luglio 2016, è allegato agli atti dell’inchiesta condotta contro l’Alleanza di Secondigliano, che il 26 giugno scorso ha portato a oltre 120 misure di custodia cautelare, eseguite nei confronti di vertici, sodali e fiancheggiatori delle cosche Contini, Licciardi e Mallardo, che storicamente compongono il cartello camorristico.
È sfuggita alla cattura Maria Licciardi, a capo dell’omonima cosca che ha il suo «quartier generale» alla Masseria Cardone. Overa riferisce, tra le altre cose, del potere del clan Contini nel controllo del San Giovanni Bosco, e racconta pure particolari relativi al boss Edoardo Contini, e alla disponibilità di «beni vietati», che quest’ultimo avrebbe avuto in carcere.
Si è più volte detto, nell’ambito dell’ordinanza
in oggetto, del controllo, che i magistrati definiscono «totale» del drappello sanitario di Via Filippo Maria Briganti, da parte della cosca del Vasto-Arenaccia.
La circostanza è confermata anche dalle dichiarazioni di Overa. «Dico, in generale, che tutti gli ospedali napoletani subiscono l’influenza del clan locale; e in particolare ricordo che nel 2015, partorì in quell’ospedale la moglie di Massimo Gallo, che gestisce la droga a Caivano; eravamo là per una visita di cortesia, io, Marco Mariano e i Gallo; e prendemmo qualcosa al bar e ci fu detto che era tutto pagato. Poco dopo arrivò pure un televisore in camera della moglie di Massimo Gallo.
Ci domandammo come mai, ma nessuno di noi si spiegò questa accortezza, se non con il fatto che qualcuno del clan del Rione Amicizia avesse avvisato della nostra presenza e avemmo quel trattamento di “rispetto”».
Poi Overa parla di una perquisizione
effettuata in carcere,
nei confronti di Edoardo Contini.
«Una volta Edoardo Contini subì una perquisizione al Padiglione Napoli e gli trovarono un milione di lire di francobolli e altre cose non consentite», dichiara il collaboratore di giustizia. Che poi sottolinea: «All’epoca, in carcere entrava di tutto», anche «tramite agenti della penitenziaria corrotti».