Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ruocco, protagonista di una sanguinosa faida contro il clan Di Lauro
Un prosciutto, o una bottiglia di champagne, il «regalo» per chi aveva commesso un omicidio, aveva fatto un favore, si era messo a disposizione del clan. La circostanza emerge dalle dichiarazioni rese da un pentito, un personaggio che era stato di alto spessore criminale, prima di iniziare a collaborare con lo Stato. E’ Antonio Ruocco, per anni appartenente al cartello dell’Alleanza di Secondigliano e coinvolto nei primi anni ’90, in una sanguinosa lotta contro il clan Di Lauro, la cosiddetta faida di Mugnano. Ruocco parla anche della cosca di Marano, i Polverino, e del capoclan Giuseppe, alias Peppe ’o barone.
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«Nel periodo in cui mi ero da poco sposato – fa mettere a verbale il pentito – e nel mentre trascorrevo un periodo di latitanza presso una abitazione ai Camaldoli, di proprietà di Giuseppe Polverino, che mi aveva appunto messo a disposizione la detta casa, venni contattato dallo zio di Polverino. Quest’ultimo, riferendomi quanto gli era stato chiesto dal nipote Giuseppe, mi propose di eliminare un giovane, di cui non conosco il nome, che era un pregiudicato della zona dei Camaldoli e che comunque poteva dare loro fastidio».
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«Io inizialmente – continua il pentito – mi meravigliai della richiesta chiedendomi perché non si fosse rivolto direttamente ai Nuvoletta, ma lo zio di Polverino mi disse che (i Nuvoletta) erano già a conoscenza del fatto e che non avevano dimostrato alcuna opposizione. Ricordo, inoltre, che in quella occasione, accettai l’incarico, ma benché per più giorni sia uscito alla ricerca del detto personaggio, non riuscii ad intercettarlo. In seguito, se ben ricordo nei giorni immediatamente successivi, lo stesso venne individuato e venne eliminato da una batteria che era stata da me inviata». Per il «favore» reso al clan, «venni ringraziato e lo zio di Giuseppe Polverino mi portò a casa una bottiglia di champagne o un prosciutto, non ricordo meglio», afferma il pentito.