Il testo scritto dal giornalista Simone Di Meo e dall’ex boss della camorra, Luigi Giuliano
Si parla anche di Antonio Bardellino, il primo boss casalese morto in circostanze misteriose in Brasile, nel primo volume «Nuova famiglia – combattere o morire», scritto dal giornalista Simone Di Meo e dall’ex boss della camorra, Luigi Giuliano.
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Ecco uno degli stralci riguardante il padrino casertano
E poi arrivarono i Casalesi. I primi capi, Antonio Bardellino e Mario Iovine, erano punciuti, affiliati a Cosa nostra. Dal punto di vista gerarchico, dipendevano dai Nuvoletta e dalla famiglia Zaza ma potevano contare, nelle loro zone di influenza, su una autonomia abbastanza marcata ed estesa.
A loro volta, Bardellino e Iovine comandavano su quelli che oggi sono considerati i fondatori del clan dei Casalesi: Francesco Schiavone detto Sandokan, Francesco Bidognetti, Michele Zagaria. Uomini che riempiono da anni le cronache giudiziarie e che hanno fatto la fortuna «professionale» di tanti ma che, all’epoca, erano solo «soldatini» in attesa di ordini di gente molto più pericolosa e spietata di loro.
Ancora oggi li ricordo perfettamente, questi ultimi, durante alcuni pranzi, portare il vino a tavola o servire il caffè e il digestivo. O mentre attendevano in auto, da fedeli autisti, che gli incontri dei loro boss terminassero. Col caldo e col freddo. Sotto il sole o sotto la pioggia. Ubbidienti e taciturni. A quel tempo, la loro «escalation» criminale era del tutto impronosticabile. Sono stati abili a farsi trovare al posto giusto al momento giusto. Ma, di fatto, Schiavone, Zagaria e Bidognetti non hanno inventato nulla. Hanno ereditato – con omicidi, stragi e inganni a catena – un impero che altri avevano fondato sul sangue e sulla violenza.
La coda per entrare nella Fratellanza
Ritrovare Bardellino e Iovine in coda per entrare a far parte della Fratellanza, dopo Zaza e Nuvoletta, mi offrì l’occasione per riprendere un rapporto che, tra alti e bassi, aveva avuto inizio quando io avevo 17 anni. Loro, che erano un po’ più grandicelli di me, frequentavano una enorme bisca, a Santa Lucia, a cui si accedeva dall’ingresso che oggi occupa il ristorante La Cantinella. Un vero e proprio casinò fuorilegge dove ai tavoli verdi si giocava di tutto: dal black jack al poker, dalla scopa alla zecchinetta, allo chemin de fer.
I croupier facevano volare le carte, nuove di zecca, sulle dita agili e invitavano gli scommettitori a puntare cifre sempre più consistenti. L’aria era appestata dal fumo delle sigarette e dei sigari creando un alone di nebbia lattiginosa che asfissiava i polmoni. Bardellino e Iovine erano uomini di fiducia dei Nuvoletta e, oltre a divertirsi a telesina ogni tanto, della bisca tenevano anche i conti. E ne curavano il «servizio d’ordine».
La loro affiliazione fu meno problematica di quella del gruppo di Marano, e di fatto non registrò alcuna fibrillazione nei rapporti con la Fratellanza. Erano boss seri, i due. E sapevano che aprire un fronte di guerriglia con noi sarebbe stato, oltre che inutile, estremamente dannoso.
Non camperanno molto, i due compari, comunque. Secondo la versione ufficiale, Mario Iovine ucciderà Bardellino in Brasile per vendicare la morte di suo fratello, fatto assassinare a sua volta dal primo perché sospettato di essere un confidente della polizia. Dopo un po’, Iovine sarà trucidato a Cascais, in Portogallo, all’interno di una cabina telefonica dai nuovi padroni di Casal di Principe, quelli che un tempo facevano da autisti e camerieri. Parlo di «versione ufficiale» perché ci sono molti punti oscuri nella morte di Bardellino, che io ricordo come un uomo coraggioso e difficile da raggirare.
Il luogo di sepoltura del corpo non è mai stato individuato
Antonio dovrebbe essere sotto terra in una spiaggia, ma in tutti questi anni nulla è stato rinvenuto nonostante diversi scavi fatti in zona. Per di più, nel nostro ambiente, quando si parlava di Bardellino si tendeva a considerarlo ancora vivo. Di lui si parlava al presente. Immaginando che fosse nascosto da qualche parte, in Sudamerica, ma in vita. Bardellino conosceva benissimo non solo il Brasile ma tutta l’America Latina, e si era integrato perfettamente nella società di quei luoghi. Parlava fluentemente la lingua e aveva, da quel che ricordo, parecchi investimenti immobiliari assai remunerativi.
Non mi stupirei se la storia dell’uccisione, da parte di Iovine, a colpi di martello fosse stata solo una messinscena per consentire un passaggio del testimone tra i due alla guida del clan dei Casalesi e consentire a Bardellino un modo indolore – seppur apparentemente tragico – per sganciarsi dalle vicende campane e rifarsi un’esistenza lontano da tutto e da tutti. Anche dalla sua famiglia di origine.