Nel film un racconto che tende a destrutturare più che comporre, a stratificare più che rendere lineare un percorso di conoscenza
di Serena Trivelloni
Mi sono presa qualche ora prima di scrivere il mio articolo su «Napoli Magica». Ho sentito la necessità di farlo sedimentare, perché sapesse parlarmi. Un bravo giornalista dovrebbe essere sempre pronto a formulare domande e dare risposte che soddisfino i lettori, ma questo lo lascio a chi ne sa sicuramente più di me. Questo viaggio ha la firma di Marco D’Amore, la cui carriera artistica parte da molto lontano, avendo avuto a che fare con mostri sacri del cinema e del teatro quali Toni Servillo, che non a caso farà parte del suo prossimo progetto cinematografico.
Napoli Magica ha il sapore di un’opera incompiuta, di una carezza, di una dedica alla città sussurrata piano, rivolta a chi sa vedere oltre. Difficile trovare risposte in un racconto che tende a destrutturare più che comporre, a stratificare più che rendere lineare un percorso di conoscenza. Questo è anche un po’ Marco, che senza troppi filtri svela ai più attenti il suo modo di guardare il mondo, di sentirlo e ci regala un po’ di quello che vede attraverso i suoi occhi, instancabili ed assetati di sapere.
Napoli magica non pretende di trovare risposte
Lo ha detto lui stesso all’inizio della presentazione del film, con l’emozione di chi sa di aver tentato un’impresa grande: «Quest’opera è un fallimento, non pretende di trovare risposte, dovrete farlo voi. Tentare di definire Napoli, la sua anima e la sua magia, sarebbe un po’ come cercare di dare risposte su cosa sia l’amore, la morte, i grandi dilemmi della vita». Ed è proprio su questo che gioca la sua abilità registica, partendo dagli stereotipi fino a mostrarci i lati più oscuri e magici della Napoli ‘sotterranea».
Dalla dimensione della superficie dove Marco si imbatte in personaggi mitici, bellezze senza tempo e musiche lontane arriva un momento in cui «si deve passare dall’altra parte». E’ lui stesso a pagarne le conseguenze, trovandosi a terra e vedendo la sua fine. Una voce femminile poco prima gli dice: «Non tenere paura, va’» e lì è ciò dove tutto ha inizio. Miti, leggende, letteratura, storia, filosofia – non posso svelarvi tutto – la realtà che abbandona la finzione e la finzione che si fa realtà. Ripercorre in un climax di sentimenti, tensioni, emozioni contrastanti i grandi temi e interrogativi del nostro tempo: amore, morte, odio, guerra, l’indefinito.
Le sue paure sono tangibili e per un tempo altrettanto indefinito diventano anche le nostre. La scena della morte di Marco in realtà sembra riportarci al significato della vita, al concetto per cui per spingerti davvero più a fondo devi «morire» per poter tornare a vivere, separarti dalle convinzioni, dagli stereotipi e da tutto ciò che appare ovvio e scontato.
L’anima inafferrabile di Napoli
L’unica soluzione per comprendere l’anima inafferrabile di Napoli sembra quindi quella di immergersi dentro la sua realtà piena di contrasti, nella sua volontà di tenersi aggrappata alla vita, imbevendosi della sua dignità, del suo orgoglio, della sua sapienza. Così come l’unico modo per comprendere l’amore è respirarne la distanza, la fugacità, il canto: «Dove sei stata tutto questo tempo?» è la domanda alla sirena Partenope a cui chiede di cantare ancora, affinché non si perda quello che forse lui stesso non aveva mai trovato prima.
Questa recensione non vuole essere una spiegazione del film, cosi come «Napoli Magica» non ha la pretesa di raccontare una realtà così complessa e grande. Guardando alcune immagini mi è venuto in mente Erri De Luca, che di Napoli sa e ha respirato sempre: «Da noi non si pronuncia l’ultima vocale, le parole restano sospese. L’inverno è viern, il resto è la stagione. Prima e dopo sono primm’ e dopp’, hanno più carne e ossa del presente, che è solamente: mò. L’ammor’ nuosto è piu tosto di amore, più svergognata ‘a famm’ della fame, i soldi sono ‘e sord’, il soldato ‘ o surdat’, più sordo che assoldato».
Da «noi il «c’è» non c’è, però ci sta. Nessuno ha, però ci sta chi tiene. Da noi non piove: chiove. La pioggia non infradicia ma ‘nfràceta’, marcisce. Il sangue è ‘o sang’ e vale meno di un bicchiere d’acqua. Da noi se devi andartene, fai che sei già partito, pure prima di adesso, primm’ ‘e mò. Teniamo il verbo più veloce del mondo, andare: i’. Se te ne devi andare, t’n’ ia i’». E se per De Luca la sostanza e l’incompiutezza sono nel verbo, per Napoli Magica risiedono nel soggetto, con tutto quello che per Marco «tornare a Itaca» vuole significare.
Buon viaggio a tutti.

