di Giancarlo Tommasone
Quello che colpisce maggiormente del caso «Monumentando» è la presunta discrepanza da quanto incassato dalla «Uno Outdoor» per la pubblicità e gli investimenti effettuati sui monumenti da restaurare. Ab origine c’è un accordo di sponsorizzazione del 2013 che ammonta a 3,5 milioni di euro.
«Ma i milioni persi dal Comune
ed entrati con la pubblicità alla ditta
che si doveva fare carico del restauro
sono 30», sottolinea a Stylo24
l’avvocato Gaetano Brancaccio,
presidente dell’associazione
culturale Mario Brancaccio
E’ stato lo stesso Brancaccio, con Ezio Maria Zuppardi, a rivolgersi al Tar dopo che il Comune aveva emesso una determina con cui veniva consentito alla «Uno Outdoor» di riprendere i lavori, con «ulteriori 900 giorni di pubblicità». Tutto ciò nonostante l’Anac avesse gettato più di un’ombra sulla disparità tra i guadagni e le spese per quei restauri da parte della società.
Ma a quanto effettivamente
ammontano i guadagni
della «Uno Outdoor», a fronte
della pubblicità incassata
e dei costi delle operazioni di restauro?
«Basta fare due conti – spiega Brancaccio – I lavori di restauro sono stati affidati a personale assolutamente non qualificato che ha agito con modalità che invece di restituire il monumento all’antico splendore, lo hanno rovinato ulteriormente. Interventi di qualche giorno, a cui poi in alcuni casi, solo dopo che il guaio era stato fatto, hanno dovuto cercare di porre rimedio restauratori specializzati. Ma anche in questo caso si è trattato di interventi minimi e svolti in tempi ridottissimi». «Giusto per fare un esempio, per la ripulitura eseguita ad hoc, di una lastra di marmo, c’è bisogno di impacchi che devono essere portati anche per sei mesi, un anno. Nel caso dei monumenti su cui si è intervenuto, con opera deleteria di abrasione, parliamo di lavori effettuati anche in una giornata», continua Brancaccio. A questo punto, «si vada a vedere quanto si paga un operaio per una giornata di lavoro e quanto invece spetta a un restauratore specializzato, un professionista del restauro. Va da sé che ci si potrà rendere conto dei costi esigui dalla ditta che si è fatta carico di intervenire sui monumenti, a fronte di quanto incassato con la pubblicità», afferma Brancaccio. «Giusto per rendersi conto degli incassi pubblicitari, facciamo l’esempio delle Torri Aragonesi di Via Marina. Sono stati venduti 240mila euro di pubblicità al mese, hanno incassato in un periodo di più di 2 anni e mezzo, 8 milioni», spiega il presidente dell’associazione culturale Mario Brancaccio.
C’è pure da sottolineare un altro particolare: su 27 monumenti da restaurare, soltanto per nove di essi sono state consegnate le opere. «Ma lo ribadisco, si tratta di interventi superficiali, fasulli, eseguiti da muratori», conclude Brancaccio.
La testimonianza di un restauratore ascoltato
nell’ambito dell’inchiesta della Procura della Repubblica
In effetti (come riportato da Stylo24 lo scorso maggio), che le opere fossero state effettuate «male e di fretta», lo ha dichiarato alle forze dell’ordine anche un restauratore professionista, che ha deciso di raccontare agli inquirenti quelli che, secondo lui, sarebbero le gravi irregolarità di tre diversi cantieri in cui è stato impiegato: Piazza Mercato, Rotonda Diaz e Piazza San Gaetano. Il restauratore è stato ascoltato dagli inquirenti nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Repubblica avviata proprio dopo un esposto presentato da Gaetano Brancaccio (assistito dall’avvocato Maurizio Lojacono) per presunto danneggiamento del patrimonio artistico monumentale di Napoli.
Nei giorni scorsi, inoltre, il Tar ha bocciato
il progetto «Monumentando»
(come già fatto dall’Anac nel giugno del 2017)
Il pronunciamento dei giudici è relativo agli interventi alle Torri Aragonesi in via Marina, ma mette dei paletti, in pratica definitivi, intorno all’intera operazione partita nel 2013. Nella sentenza, tra gli altri, vanno sottolineati alcuni passaggi, in cui si rimanda anche al precedente pronunciamento dell’Anac sulla vicenda: «Come determinato dall’Anac effettivamente la determinazione dell’importo contrattuale negli atti di gara è del tutto disancorata dall’effettivo lavoro della controprestazione, consistente nella cessione di spazi pubblicitari».
Le linee guida (ministeriali di cui al decreto 19 dicembre 2012) precisano che nelle sponsorizzazioni «l’importo di base della procedura selettiva, ossia la soglia minima da indicare nell’avviso pubblico, sulla quale sollecitare le offerte al rialzo dei candidati sponsor, non può e non deve essere automaticamente identificato nel valore dei lavori, nei servizi e nelle forniture richiesti e da eseguire o acquistare ma “deve tenere conto soprattutto del valore del ritorno pubblicitario e di immagine (in senso lato), ritraibile dall’abbinamento del nome e del marchio di impresa agli interventi da realizzare, che è in sintesi, il valore che l’impresa candidata intende acquistare con la sua offerta. L’amministrazione deve, infatti, tendere a massimizzare il profitto conseguibile mediante il ricorso alla sponsorizzazione, e tale imprescindibile necessità richiede che il controvalore offerto sia adeguatamente stimato, sulla base della sua ritenuta appetibilità sul mercato”», è scritto nella sentenza.