Il ruolo del grande vecchio della camorra
di Giancarlo Tommasone
Ha reso molto bene l’idea rispetto alla natura caratterizzante del personaggio, chi ha definito Carmine Montescuro, alias zì Menuzz’, il «diplomatico della camorra». Uno capace di incutere rispetto e timore reverenziale addirittura in criminali del calibro di Paolo Di Lauro, come ha raccontato il pentito Maurizio Prestieri, nel corso della deposizione resa il 15 maggio del 2008. Dell’ottantacinquenne finito in carcere nell’ambito dell’operazione Piccola Svizzera (23 misure cautelari emesse, 52 indagati in totale) e del suo ruolo di paciere, di persona che mette a posto le cose quando ci sono problemi tra le cosche, parla anche il pentito Giuseppe Sarno.
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L’ex boss di Ponticelli (il 3 luglio del 2009) riferisce al pm: «Mio fratello Vincenzo si accordò con i gestori di quella bisca per consegnargli una parte dei proventi provenienti dalla cosiddetta “cassetta”, dove vengono raccolte le mance che lasciano i giocatori che vincono giocando a zecchinetta. Il denaro raccolto nella cassetta si aggira solitamente ogni sera attorno ai quattro, cinquemila euro. Queste circostanze relative a Fuorigrotta mi sono state riferite da tutti, in primo luogo da mio fratello Vincenzo. lo non sono mai stato un giocatore di carte, per cui non sono nelle condizioni di indicare questi luoghi in cui si tenevano le bische». Sarno aggiunge che «una bisca simile vi era anche a Pozzuoli, da cui prendevamo ugualmente una quota, parte della “cassetta”, ed a Secondigliano, dove naturalmente ci si recava semplicemente a giocare. Uno dei più assidui frequentatori di questa bisca era Peppe “Caramella” (cugino omonimo di Giuseppe Sarno)».
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E’ con quest’ultimo che nasce il problema, che poi si ritroverà a risolvere Montescuro. Caramella, infatti, poco prima di essere arrestato, «perse a zecchinetta circa 200mila euro. I “responsabili” di quella bisca erano i fratelli Lo Russo, detti i capitoni, i quali un giorno convocarono a Secondigliano Peppe Caramella e lo minacciarono di morte se non avesse soddisfatto le loro pretese. Mio cugino ne venne a parlare con me e con Luciano, per chiedere di risolvere quella situazione. Qualche tempo dopo, con Peppe Caramella che nel frattempo era stato tratto in arresto, venne a casa di nostro cugino Pacifico Esposito, zì Munuzzo, al secolo Carmine Montescuro, a rappresentare che i capitoni volevano vendicarsi per ritorsione su Nicola Sarno, figlio di Peppe Caramella», racconta Sarno. I capitoni, sapendo che Caramella aveva una percentuale di partecipazione nel punto Snai di Ponticelli, pretendevano di recuperare, andando lì a prendersi i soldi.
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Ma alla fine, racconta Giuseppe Sarno, «decidemmo di organizzare un incontro in cui chiarire la faccenda. Siccome nel frattempo anche mio fratello Luciano era stato arrestato, all’incontro fissato a casa di Pacifico Esposito, mi recai io accompagnando mio nipote Nicola. Qui con zì Munuzzo raggiungemmo i termini dell’accordo, nel senso che mi impegnai anche a nome di mio nipote a corrispondere ai capitoni, mensilmente, la somma di cinquemila euro fino all’estinzione del debito. Pacifico Esposito si assunse la responsabilità di tutto ciò, pretendendo peraltro che Nicola non venisse toccato. Zì Munuzzo diede la sua parola e l’accordo si concluse. Di quei cinquemila euro mensili, Nicola si assunse la responsabilità di pagarne la metà, l’altra metà l’avremmo racimolata noi del clan».