di Giancarlo Tommasone
La paura di essere intercettati da parte delle forze dell’ordine, porta alcuni componenti del clan Contini, a effettuare frequenti controlli sulle proprie vetture. Ciò avviene presso meccanici di fiducia, ma capita pure che ci si serva di esperti del settore (o sedicenti tali), come si evince da una conversazione, captata dalle forze dell’ordine, e che vede tra gli interlocutori, un non meglio identificato Michele.

La trascrizione del dialogo, è allegata all’ordinanza relativa alla maxioperazione condotta lo scorso mercoledì contro il cartello dell’Alleanza di Secondigliano. Lo «specialista» anti intercettazione della cosca del Vasto-Arenaccia, abbiamo scritto, è un tale Michele, appartenente alla criminalità organizzata, ed in possesso di una apparecchiatura utile a rilevare la presenza di eventuali microspie.
E’ l’otto giugno del 2012, alla conversazione partecipano Vincenzo Tolomelli, Alberto Tolomelli (entrambi elementi del clan Contini) e il citato Michele. Quest’ultimo, utilizzando un congegno (del valore di 4mila euro) che rileva la presenza di dispositivi telefonici accesi, invita i due a spegnere i propri cellulari. Controllata l’auto, li rassicura, affermando che sia tutto in ordine e quindi, per fare una ulteriore prova, fa riaccendere i cellulari ai suoi interlocutori.
Ma come mai, nonostante, la bonifica
non abbia rilevato alcuna apparecchiatura,
la conversazione tra i tre viene ugualmente captata?
Michele, spiegano gli inquirenti nell’ordinanza, «effettuava un controllo che avrebbe consentito di rilevare una apparecchiatura di intercettazione tradizionale». La polizia giudiziaria, delegata all’attività di intelligence, conscia dei continui controlli a cui gli indagati sottoponevano le loro vetture, «faceva installare una apparecchiatura non rilevabile con i tradizionali sistemi di bonifica (come quelli in dotazione a Michele, appunto)».
L’attività di bonifica da parte degli affiliati è costante
e ad occuparsene è quasi sempre il citato Michele.
Che spiega pure ai suoi sodali come il localizzatore, ovvero il rilevatore gps, entri in funzione quando il veicolo è in movimento. Ragion per cui, Michele, per effettuare un controllo ad hoc, chiede a Vincenzo e Alberto Tolomelli di fare un giro di prova con la macchina.
Lo «specialista» del clan si vanta anche di essere riuscito a trovare microspie a bordo delle macchine di altri due sodali, vale a dire delle auto di Antonio Cristiano e del fratello di quest’ultimo. Da quanto emerge dai discorsi tra sodali, «appare ovvio come Michele abbia investito una considerevole somma, quattromila euro, per la ricerca di microspie e che tale attività non solo veniva effettuata a bordo della propria auto o di altri ambienti, ma anche a favore di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, e nella fattispecie, al clan Contini».
Nonostante la sua azione, come abbiamo visto,
non si riveli poi così utile, tranne in qualche caso,
Michele gode della stima dei suoi «compagni».
Vincenzo Tolomelli parlando con Alberto, che non conosce il «tecnico» delle bonifiche, definisce Michele, un «mostro (di bravura)». Particolarmente attento alle microspie, anche se con scarso successo, è proprio Vincenzo Tolomelli. Nel corso di una conversazione intercettata il 19 aprile del 2012, Tolomelli e i suoi due interlocutori (nel caso Giovanni Esposito e Bruno Riccio) arrivano perfino a riconoscere la bravura delle forze dell’ordine nel posizionare le «cimici». «Sono proprio tecnici», convengono i tre.

Durante la stessa conversazione, Tolomelli racconta di quando è stato fermato per dei controlli, e di come, con la scusa del blocco dei terminali, le forze dell’ordine abbiamo applicato una microspia alla sua auto. La «cimice» sarà trovata successivamente, in una delle poche attività di bonifica andata, evidentemente, a buon fine.