di Giancarlo Tommasone
Il suolo italiano, Mario Fabbrocino (deceduto ieri all’ospedale di Parma), lo rivede la mattina del 7 marzo del 2001. In manette. Estradato dall’Argentina, dove era stato catturato il 3 settembre del 1997, dopo dieci anni di latitanza (passati anche tra Europa, Paraguay e Uruguay, ricostruirono gli inquirenti).
L’aereo atterra a Fiumicino,
e il «boss dei due mondi»,
viene preso in custodia
dall’autorità
giudiziaria nazionale
Gli uomini della Dia di Napoli, nel 1997, lo avevano stanato in località San Martin (cittadina dove vive una folta comunità di italiani), a una trentina di chilometri da Buenos Aires. All’operazione avevano partecipato anche una decina di agenti del dipartimento droghe pericolose della polizia federale argentina e dell’Interpol. Si arrivò a Fabbrocino (conosciuto negli ambienti della malavita anche con il soprannome di ’o gravunaro) grazie a una segnalazione che l’Interpol aveva ricevuto due mesi prima, in virtù di una telefonata della moglie verso il Sudamerica, e partita da una cabina pubblica.
Parlava perfettamente
lo spagnolo
e proprio
in quella lingua, esternò
alle forze dell’ordine
lo stupore
per essere
stato arrestato e identificato
come capoclan
Lo trovarono in possesso di un passaporto falso intestato a tale Pasquale Miranda. Il nome di Fabbrocino, all’epoca «irreperibile dal 1988», era stato inserito ai vertici della lista dei 30 latitanti più pericolosi. La presenza e il «radicamento» sul territorio argentino dell’organizzazione di Fabbrocino è provato pure dal fatto che l’undici giugno del 1998, sempre a San Martin, le forze dell’ordine arrestano il figlio del capoclan, Giovanni.
Tornando al boss, al momento dell’estradizione in Italia, era stato già condannato in via definitiva per associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga e per aver ordinato alcuni omicidi. Condanne che ammontavano a oltre 100 anni di reclusione. Diversi i casi eclatanti in cui è stato chiamato in causa, da investigatori e magistratura, il boss originario di San Gennarello di Ottaviano.
Gli omicidi del figlio
e del cognato di Raffaele Cutolo
Ad esempio l’omicidio di Luigi Iacone, il cognato di Raffaele Cutolo, assassinato a settembre del 1992; l’omicidio di Roberto Cutolo (figlio di Raffaele), che si registra nel 1991; la strage di Torre Annunziata, avvenuta il 26 agosto nel 1984. La «strage del circolo dei pescatori» o di Sant’Alessandro, come fu pure ribattezzata, causò la morte di otto persone, e fu effettuata, recitano le sentenze, dagli uomini dell’alleato di ’o gravunaro, Carmine Alfieri.
Proprio a quest’ultimo, diventato vertice della camorra, si era legato Mario Fabbrocino, tra i fondatori della Nuova famiglia. Insieme a «coppola rossa», conosciuto anche con l’alias di ’o ’ntufato, Fabbrocino, per molti anni, ha dominato il Vesuviano, nei settori del narcotraffico e delle estorsioni.