Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Illiano che racconto di un incontro in un covo ai Camaldoli
L’agguato che portò alla morte di Gaetano Marino (uno dei boss storici delle Case Celesti), si consumò il 23 agosto del 2012, sul lungomare di Terracina. Qui, il ras si trovava in vacanza con la famiglia. Ma circa un anno e mezzo prima, vale a dire a marzo del 2011, era già stata chiesta la testa di moncherino, così veniva chiamato il fratello di Gennaro alias Genny Mckay (generale supremo dell’esercito degli Scissionisti durante la guerra contro i Di Lauro).
L’ordine / Il boss mi disse: a quello sparagli
in faccia con tutte e due le pistole
A parlare della circostanza è il collaboratore di giustizia Giovanni Illiano, nel corso di un interrogatorio che lo vede rendicontare sulle forti tensioni per la leadership, che all’epoca si registrano tra le fazioni Amato e Pagano.
«Un giorno – fa mettere a verbale il pentito – fui convocato e portato al cospetto di Carmine Amato, detto ’a vicchiarella, che in quel momento era il capo assoluto del clan, essendo latitante. Ci vennero a prendere a Giugliano, con una Fiat Panda, vecchio modello, di colore verde. Di qui, ci portarono in un appartamento dove c’erano Raffaele Imperiale e Mario Cerrone. Infine, questi ultimi ci portarono ai Camaldoli, in un covo dove si trovava Carmine Amato, e altri due affiliati, uno dei quali aveva il compito di controllare le telecamere di videosorveglianza».
Il pentito / «Per uccidere Mariano Riccio
ricevetti un regalo di 30mila euro»
«Nell’occasione si commentò anche che Mariano Riccio (genero di Cesare Pagano, ndr) aveva richiesto a Carmine Amato, l’autorizzazione a uccidere Gaetano Marino, per motivi a me sconosciuti; e che aveva inoltre richiesto un quantitativo di cocaina per le piazze di spaccio. Carmine Amato commentò che si poteva mandargli (a Riccio) una macchina, con 100-150 chilogrammi di cocaina, e che (Riccio) avrebbe potuto uccidere Gaetano Marino», racconta al pm il pentito Giovanni Illiano.