Il fenomeno delle baby-gang connesso a quello della gioventù a rischio, da tempo focalizza l’attenzione di media e istituzioni. Per comprendere la natura e il background in cui sono maturati gli episodi violenti registrati nell’ultimo periodo a Napoli, «Stylo24» ha rivolto alcune domande alla professoressa Maria Luisa Iavarone, la madre di Arturo; lo studente 17enne è diventato, suo malgrado, il simbolo della «resistenza» alle azioni criminali portate a termine da gruppi di giovanissimi.
(intervista raccolta da Giancarlo Tommasone)
Professoressa Iavarone, parlando della nostra città ha commentato, sul suo profilo Facebook, che Napoli è una «città obliqua», cosa intendeva dire con precisione?
«Lo spunto è la bellissima canzone di Edoardo Bennato “La città obliqua” e intendevo estendere questo concetto anche al rischio sociale. Napoli è una città obliqua nel senso che è un piano inclinato dove è difficile tenere qualsiasi cosa in equilibrio, appena un oggetto cade prende velocità e diventa impossibile fermarlo. Come una pietra che rotola da una scarpata e che lungo il percorso acquista velocità e grandezza fino a diventare una valanga. Il degrado, la devianza segue un meccanismo simile, per questo è difficile frenarlo. La dimostrazione di questa analisi ci è fornita dall’episodio del video girato da quella masnada di giovinastri nella metropolitana e poi postato sui social».

A proposito di quell’episodio, che idea se ne è fatta?
«Credo che quello sia la rappresentazione plastica di una certa infanzia-adolescenza che nella nostra città è oramai sempre più fuori controllo. Una decina di minori mettono a soqquadro un intero vagone, violando la serenità di utenti inermi ma soprattutto violando un contesto pubblico che dovrebbe essere presidiato e controllato. In una città normale, qualcuno avrebbe dovuto fermare questi ragazzi, che presumibilmente non hanno obliterato il biglietto per entrare in metropolitana ma hanno saltato i tornelli; eppure sono entrati in un vagone, lo hanno “squassato” con i loro schiamazzi, hanno infastidito e molestato passeggeri per svariati minuti, ed anche lì, nonostante fossero ripresi dalle telecamere, ancora nessuno ha ritenuto fermarli. Poi sono scesi alla loro stazione, hanno nuovamente aggirato i varchi e neanche lì, all’uscita della metro, hanno trovato alcun presidio che ha fermato il loro passo. Ma quello che trovo ancora più fastidioso è che non è stato posto un limite neanche al loro schiamazzo telematico quando hanno postato sulla rete il video della loro “esibizione” che non è stata certo intercettata e denunciata dalla polizia postale, che pure sarebbe deputata a fare questo lavoro, ma da privati cittadini che si sono indignati. Nessuno ha fermato questi ragazzi: né all’ingresso della Metro, né nel vagone, né all’uscita e neppure sulla rete. Abbiamo mollato qualsiasi presidio in ogni luogo: virtuale e reale. Ecco, a Napoli, siamo tutti quanti responsabili di rendere quel piano ancora più inclinato».
Ma perché, secondo lei, nessuno in quel vagone, è intervenuto dando un segnale di dissenso verso quello che stava accadendo?
«Questo è un tema cruciale. Noi assistiamo non solo a mancanza di empatia ed ignoranza affettiva da parte degli attori di queste scelleratezze ma anche all’anestesia emotiva da parte di chi è spettatore. Vede, questo attiene un po’ alla conservazione della specie. L’essere umano è predisposto ad assimilare qualsiasi esperienza poi però la mente ha la necessità di andare in autoprotezione e di dare a ciò che ha visto un significato comprensibile e rassicurante. È una sorta di corollario dell’istinto di conservazione. Nonostante abbia visto una cosa forte e tremenda devo comunque andare avanti e sopravvivere, anche a quello che mi fa orrore. Ed allora queste manifestazioni vengono etichettate come “ragazzate”, “goliardate”. Un espediente che la mente adotta per rendere tollerabile e socialmente accettabile anche quello che andrebbe più scomodamente condannato. Ma questa seconda opzione è, evidentemente, più faticosa rendendo tutti responsabilmente attori del cambiamento».

A questo punto, dopo 8 mesi dal tragico evento che ha riguardato Arturo e il continuo ripetersi di fatti che non fanno ben sperare circa il recupero di questi ragazzi, lei cosa pensa si debba fare?
«In questi ultimi 8 mesi, davvero non mi sono mai fermata, risale proprio all’altro ieri una riunione svoltasi a Palazzo San Giacomo con gli assessori competenti Gaeta, Clemente e Palmieri volta a rappresentare, ancora una volta, l’esigenza di utilizzare misure straordinarie di monitoraggio degli interventi dei servizi sociali sui minori a Napoli. Voglio essere diretta. Se il risultato degli interventi socio-educativi con i minori a rischio non ha prodotto risultati sperati e i numeri ci restituiscono una fotografia impietosa con un Icv (indice di criminalità violenta) dei ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni (fonte: Secondo rapporto sulla criminalità e sicurezza a Napoli nel 2017) cresciuto negli ultimi 10 anni del +24.5%, evidentemente qualcosa non deve aver funzionato».
Cosa intende dire? Si spieghi meglio.
«Intendo dire che, stando a questa fonte, i minori negli ultimi 10 anni a Napoli delinquono di più per reati predatori-violenti e questa Amministrazione governa da 7 anni. Se fossi l’Assessore alle Politiche sociali mi farei qualche domanda in proposito. Con questo intento mi sono recata il 9 agosto a Palazzo San Giacomo».
Come si è svolta la riunione?
«Ovviamente c’è stato inizialmente il tentativo di rappresentare e descrivere tutte le numerose iniziative che pure il Comune mette in campo per i minori a rischio di questa città ma, come ho appena detto, se nonostante tutto continuiamo a registrare in città fatti gravissimi – come la vicenda di Arturo ma altri episodi testimoniano – significa che forse qualcosa deve essere cambiato o più semplicemente dobbiamo cambiare metodo nell’approccio al problema. Il punto è che i soldi che il Comune stanzia non sono pochi e vengono anche spesi ma, evidentemente, non intercettiamo i ragazzi giusti. Abbiamo inforcato delle lenti che non correggono il nostro difetto visivo e quindi non ci consentono di vedere ciò che andrebbe visto. Forse abbiamo bisogno di lenti multifocali che consentano di mettere a fuoco un fenomeno a diverse distanze e che ha sfondi molti vari».

Sembra di capire che lei abbia proposto un ‘metodo di lavoro’ nuovo, è così?
«Ho provato a persuadere, non a convincere ed il dettaglio, credetemi, non è nominalistico. Le parole sono importanti: “per-suadere” è il riconoscimento di una evidenza, “cum-vincere” è un atto compiuto dall’esterno con forza. Credo sia utile persuadere chi ha la responsabilità e il potere di decidere delle politiche per i minori in città, di agire con urgenza ma soprattutto con efficienza. Urgenza ed efficienza spesso non si coniugano, anzi configgono. Le azione che questo Comune mette in campo – devo riconoscere – sono numerose e urgenti ma evidentemente non abbastanza efficienti, come riscontrabile dai fatti e dalle documentazioni. Manca, infatti, a Napoli un piano di monitoraggio trasparente degli effetti degli interventi disposti per i minori. Il bilancio delle spese sostenute per queste azioni è, per legge, disponibile sulla rete e chiunque può visionarlo, ma un bilancio qualitativo, espressione cioè dell’efficacia delle spese affrontate con soldi pubblici, non è disponibile».
In altre parole, sembra di capire, lei proponga un migliore sistema di efficientizzazione delle risorse.
«Non solo, dobbiamo diventare efficienti ma innovare non certo inventandoci per forza qualcosa di nuovo ma ripartire dall’analisi dell’errore. Gli errori non vanno nascosti o negati ma guardati in faccia con onestà e determinazione. Già questo, di per sé, potrebbe costituire un ‘metodo innovativo’. Se un paziente non risponde ad una terapia non ci si lancia in terapie sperimentali per forza, nell’idea di tentare qualcosa di nuovo pur di fare qualcosa, ma si riparte da un approfondimento diagnostico ulteriore, per capire le ragioni della mancata risposta terapeutica. A Napoli noi tutti dovremmo allenarci a fare cose con maggiore capacità di guardare ai nostri errori come “giacimento di saperi”. È questo l’elemento su cui dovrebbe fondarsi la capacità delle istituzioni di fare il bene comune, non rimanendo prigionieri di posizionamenti personali, di suggestioni emotive o peggio ancora della costruzione di una certa propaganda politica. Dovremmo allenarci a cambiare idea, non difendendo, con ostinata caparbietà, il nostro punto di vista, fosse anche in nome di una difesa istituzionale d’ufficio. Se il lavoro che si porta avanti, seppur con determinazione, non produce effetti evidenti, o si cambia lavoro o si cambia metodo».
Cosa si è deciso al termine dell’incontro?
«Grazie anche al contributo del garante regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, professor Giuseppe Scialla, la cui presenza è stata da me fortemente voluta, è stato istituito un tavolo tecnico permanente che, a partire da settembre, consentirà una migliore funzionalità tra l’Ufficio del Garante, il Comune e l’Osservatorio regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza della Campania. Questo innanzitutto allo scopo di pervenire ad una fotografia più nitida dell’infanzia e dell’adolescenza, partendo dalla città e progressivamente allargando il discorso a tutta la regione, allo scopo di rendere più fattivi gli interventi e migliorare la performance dei servizi sociali, la cui spesa vale circa 25 milioni l’anno del bilancio complessivo del Comune di Napoli».