Il responsabile di Comunicazione per Italia Viva Campania, Marcello Lala, a Stylo24: questo sistema elettorale deve essere modificato e adeguato ai tempi.
Un fallimento al quale pensavano in molti, ma di certo non in questi termini. I referendum del 12 giugno hanno visto un’affluenza inferiore al 21% degli aventi diritto: quorum tutt’altro che raggiunto, iniziativa dunque non valida. Promotori dell’iniziativa il «Comitato Giustizia Giusta», ossia la Lega di Salvini e il Partito Radicale Transnazionale. Un risultato che, secondo il responsabile di Comunicazione per Italia Viva Campania, Marcello Lala, va interpretato come sconfitta per tutta la politica italiana. «Anche i promotori se l’aspettavano – spiega – è stato il frutto del boicottaggio di una certa classe politica, di un certo modo vecchio di fare politica in Italia».
Qual è dunque la sua chiave di lettura per questo fallimento così fragoroso?
«Il fallimento non è dell’istituto referendario in sé, che resta sempre valido ed efficace, ma si tratta di un fallimento della politica in generale, che registra un astensionismo da tutti i punti di vista. Questo sistema elettorale deve essere modificato e adeguato ai tempi. In che modo? Non dev’essere più necessario raggiungere un quorum di elettori, ma basta calcolare l’affluenza degli aventi diritto al voto: e la maggioranza delle preferenze poi determina il risultato».
Quello del 12 giugno è stato un risultato «storico» in senso negativo: secondo lei, quindi, non può essere letto soltanto come sconfitta politica per chi l’ha promosso?
«Secondo me no: la gente ormai si disinteressa alla politica, non partecipa più alla politica. Eppure, non possiamo non tenere conto di sette milioni di italiani che hanno votato in maniera specifica, precisa. Ci sono infatti grosse differenze sulle preferenze espresse nei vari quesiti: ad esempio, quello sulla modifica dei termini della custodia cautelare ha avuto risultato diverso da quello sulla modifica del Csm (nel primo caso il sì ha avuto il 55,37%, il no 44,63%; nel secondo il rapporto è stato di 71,63%-28,67%, ndr). Quindi non possiamo parlare di una sconfitta dei promotori, ma della politica e del grado di interesse dei cittadini».

E d’altronde il dato storico dei referendum abrogativi sembra confermare questa tesi: dal ’97 ad oggi, solo quelli del 2011 (privatizzazione acqua e legittimo impedimento, tra i quesiti) hanno raggiunto il quorum. Segno del distacco della gente dalla politica
«E’ in corso un distacco totale in tutto il mondo, anche alle recenti elezioni in Francia abbiamo assistito a questa dinamica. Ma nel caso dei referendum del 12 giugno, sicuramente sono stati sottovalutati e boicottati da una certa classe politica e dalla politica stessa. Nel particolare, tutta la componente filo magistratura, ossia quella parte che si dimostra sempre refrattaria ai cambiamenti».
Secondo lei c’era un modo per «salvare» questo referendum, o era destinato comunque a non essere valido?
«Io credo che fosse destinato comunque a finire in questo modo. Gli stessi promotori lo immaginavano. Il nostro grande problema è quello di svecchiare l’approccio della classe politica alle persone, al mondo reale. Mi auguro che dopo la svolta di questi giorni, cioè dopo la scissione all’interno del Movimento 5Stelle, possa cambiare qualcosa. Io credo che l’abiura di Di Maio, rispetto ad un certo modo di fare politica, potrebbe avvicinare le persone alla politica».