di Francesco Vitale
Emergono diversi elementi caratterizzanti la nuova camorra, dall’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, che si riferisce al periodo che va da gennaio e giugno dello scorso anno. Si assiste a una destrutturazione (e a una evoluzione) di alcuni clan cittadini, che si ridisegnano sul modello delle baby-gang. «A Napoli – è riportato nella relazione – la pluralità di gruppi autonomi, più simili a bande gangsteristiche e sempre caratterizzati dall’impiego di metodologie di tipo mafioso e da un uso spregiudicato della violenza, genera un palpabile clima di fibrillazione».
Fenomeno degno di rilievo è quello delle stese,
vale a dire di quegli episodi intimidatori, quali l’esplosione
di colpi d’arma da fuoco contro abitazioni, auto
o attività commerciali riconducibili a clan rivali.
Tutto ciò offre «un quadro d’insieme in cui covano molteplici focolai di tensione, particolarmente evidenti nelle aree di Forcella, Quartieri Spagnoli, Sanità, Piazza Mercato, Vasto, Case Nuove, San Giovanni a Teduccio, Ponticelli». Si tratta di zone in cui oltre all’esistenza di faide tra le cosche, sono frequenti appunto le stese. Ma quali sono i punti di forza dei clan emergenti? Soprattutto la capacità di reclutamento di nuovi affiliati; ciò avviene grazie anche all’interazione con la criminalità diffusa.
Punto di forza è da considerarsi pure la disponibilità
di armi e munizioni da parte dei nuovi gruppi.
«Le caratteristiche sociali, culturali ed economiche dei quartieri degradati o periferici di Napoli agevolano l’arruolamento di giovani leve, molte delle quali minorenni, attingendo dal vivaio delle bande della microcriminalità».
Accanto ai gruppi storici, che resistono in provincia e che risentono ancora in maniera poco sensibile del cambio generazionale, altre cosche cittadine, invece hanno dimostrato, nel corso degli anni, una notevole capacità di riorganizzazione, «nonostante le sentenze di condanna emesse nei confronti dei vertici e i contrasti con clan avversi». Una di queste organizzazioni è, ad esempio, il clan Mazzarella. Originario di San Giovanni a Teduccio, risulta essere operativo anche in altre zone della città.
Stando alla relazione, a seguito della scarcerazione dei figli di uno degli storici capiclan, il gruppo starebbe riacquisendo il controllo delle attività illecite della zona della Maddalena. In ciò è «favorito» anche dai numerosi interventi da parte dello Stato che hanno scompaginato capi e gregari del sodalizio avverso, quello formato dai Sibillo e dai nuovi Giuliano.
«La notevole disponibilità di armi e la spregiudicatezza e pericolosità degli affiliati – è riportato nella relazione della Dia – hanno consentito all’organizzazione di operare senza soluzione di continuità, anche con azioni omicidiarie e agguati nei confronti dei clan contrapposti. Proprio nel corso di uno sparatoria, il 31 dicembre 2017 veniva ferito accidentalmente un bambino di dodici anni che si trovava nella propria abitazione».
Se in città e nei diversi quartieri del capoluogo partenopeo,
si assiste a un contesto in continuo mutamento,
ciò non si riscontra relativamente ai gruppi camorristici
che operano nella provincia a nord di Napoli.
Invece, «nelle zone del Vesuviano, del Nolano e del Casertano i clan hanno adottato, nella gestione delle attività illecite, una modalità di mimetizzazione e di compartimentazione». Si è assistito, in generale, «alla scomparsa dei capi carismatici, alcuni detenuti e altri costretti da tempo alla latitanza, il cui ruolo è stato assunto da familiari o elementi di secondo piano, che non sempre hanno mostrato pari capacità nella guida dei sodalizi.
Di fronte ai rapidi mutamenti dei contesti locali e per affermarsi come protagonisti, questi giovani delinquenti hanno spesso fatto ricorso ad azioni violente, come riscontrato per la famiglia Giuliano di Forcella».