di Giancarlo Tommasone
Alla fine ce l’hanno fatta. Il Movimento 5 Stelle in testa, con una manovra da Prima Repubblica. Ce l’hanno fatta a salvare de Magistris, nonostante la favoletta da raccontare ai gonzi, che si stavano aiutando in totale 300 Comuni, non certo la sola Napoli e (soprattutto) il suo sindaco.
Via libera dunque al testo salva-finanze compreso
nel decreto Milleproroghe.
Il disco verde è stato dato dalle commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera. A favore, non solo ha votato la maggioranza, ma tutto il centrodestra. Il Pd si è dichiarato contrario. Forse la sintesi più azzeccata è quella del dem Gennaro Migliore che ha parlato di «emendamento elettorale». Non si sa se con quell’«elettorale» abbia voluto intendere le prossime consultazioni regionali in Campania e quelle che si terranno l’anno dopo a Palazzo San Giacomo.
In tutto questo non si è concretizzato
il contro-emendamento sfratta-Giggino.
Contromossa su cui c’era stato anche il nullaosta (riservato) da parte di Ugo Grassi, nonostante dichiarazioni pubbliche di senso opposto. Il senatore aveva detto in privato, credendosi al sicuro da occhi e orecchi indiscreti, che non aveva alcun tipo di pregiudiziale nei confronti di un emendamento che andasse nella direzione di salvare le finanze, ma che allo stesso tempo sanzionasse gli amministratori incapaci.
Ma alla fine, il Movimento si è piegato alla ragion di Stato.
Che da un lato porta al salvataggio di de Magistris, definitivamente, mentre dall’altro vede intrecciate – secondo alcune voci di storici attivisti del M5S raccolte da Stylo24 – la norma salva-Giggino con la nomina del commissario governativo per Bagnoli.

«Nessuno ha voluto prendersi la responsabilità di fare un’opposizione seria e dura al sindaco di Napoli. A questo punto, penso, e pensiamo, che l’accordo segreto tra una parte del Movimento e de Magistris sia qualcosa di più concreto di una ricostruzione giornalistica», dichiara un grillino della prima ora. Tra l’altro di patto tra gialli e arancioni si parla da oltre due anni e mezzo. A testimoniare la circostanza un articolo del quotidiano «Il Mattino» pubblicato il 31 gennaio scorso dal titolo «M5S, base spaccata sul direttorio».

Nel pezzo si parla proprio di un presunto patto di ferro tra de Magistris e Fico, con una particolarità che oggi appare assolutamente significativa, almeno a voler dar credito alle «voci di dentro» del Movimento. In quell’articolo, infatti, si descrive una riunione dei grillini svoltasi nella sede della V Municipalità di Napoli. Tra i partecipanti a quel meetup, presieduto da Roberto Fico e durante il quale si discuteva appunto di un presunto accordo con il sindaco di Napoli, era presente anche Francesco Floro Flores.

Vale a dire l’imprenditore che è stato indicato dal ministro Lezzi come futuro commissario straordinario di Bagnoli su suggerimento – pare – di Fico; imprenditore che tra l’altro è pure il datore di lavoro di Claudio de Magistris. Nonché concessionario dell’Arena flegrea per appena 35mila euro all’anno.

«Ci hanno venduti – dice un altro attivista – L’emendamento per salvare le amministrazioni comunali era stato preparato ed erano stati anche avviati da parte delle realtà territoriali napoletane aderenti ai meetup grilline, i colloqui con alcuni parlamentari. Nessuno, però, si è preso l’onere di presentarlo. Né è andata a buon fine la trattativa, per altro brevissima, che si era sviluppata con alcuni parlamentari leghisti».
Tutto ciò non sta altro a significare che Napoli, ormai,
è considerata una realtà a sé stante.
Di fatto quello che il sindaco rivendica in ogni occasione, e cioè l’indipendenza e l’autonomia della terza città d’Italia, almeno nei palazzi romani è già data per scontata. «Di questo passo, ci ritroveremo de Magistris presidente della Regione con l’appoggio dei 5 Stelle e un fedelissimo di Fico, se non lo stesso presidente della Camera, interessato alla poltrona più alta di Palazzo San Giacomo», conclude, il sommesso e sconsolato attivista.