Luigi Cimmino, ex capo della mala del Vomero e dell’Arenella, ricostruisce i suoi ultimi anni da ras: «Avevo davvero intenzione di collaborare con la giustizia, ma avevamo perso 600mila euro, eravamo in una condizione di difficoltà»
Pentimento in due atti per l’ormai ex boss della mala vomerese. Il percorso che, dopo anni ai vertici della camorra napoletana, ha portato Luigi Cimmino a collaborare con la giustizia è stato tutt’altro che privo di inciampi. Il ras di via Arenella da pochissimi mesi si è definitivamente gettato tra le braccia dello Stato, ma già alcuni anni fa aveva tentato il grande passo. Non tutto però era filato per il verso giusto: «Nel 2018 avevo realmente deciso di collaborare con la giustizia, ma la mia famiglia era contraria».
Il singolare retroscena emerge dall’interrogatorio al quale il boss Cimmino è stato sottoposto lo scorso 8 aprile. La decisione era maturata in seguito al suo coinvolgimento nell’ultima maxi-inchiesta che, con quasi cinquanta arresti, ha decapitato la cupola del clan Cimmino-Caiazzo. Incalzato dagli interrogativi dei pm della Procura antimafia di Napoli, il neo pentito ha dunque rivelato: «Mi viene chiesto di chiarire come sia maturata la decisione di collaborare con la giustizia e cosa sia cambiato rispetto al proposito manifestato nel 2018 che, come mi viene rappresentato, era stato un falso tentativo di collaborare per ottenere gli arresti domiciliari e rientrare al comando del gruppo criminale vomerese».
Luigi Cimmino ripercorre la vicenda in questi termini: «A tale proposito rispondo che nel 2018 avevo realmente deciso di collaborare con la giustizia, anche se la mia famiglia era contraria; io avevo 500-600mila euro in mano a un tale G. G. che aveva un mobilificio in via Piscicelli, il quale si impiccò e quindi io mi trovai in difficoltà perché avevo perso tutti i miei soldi e quindi poi la mia famiglia mi convinse a non collaborare più perché non avevamo più neanche una lira e quindi cambiai idea». L’ex ras conclude il passaggio ribadendo il concetto: «Il fatto di G. non è collegato alla mia scelta di non collaborare più nel 2018 e ne ho fatto cenno solo per chiarire che la mia famiglia versa in una condizione di difficoltà. Ribadisco che è stata la mia famiglia a convincermi a non collaborare, forse per paura».
Sta di fatto che oggi, anche grazie alle dichiarazioni scottanti rese da Luigi Cimmino, gli ultimi ras e affiliati al sistema vomerese rischiano di andare incontro a una clamorosa stangata giudiziaria. Proprio in questi giorni, infatti, è entrato nel vivo il processo di primo grado che si sta celebrando con il rito abbreviato. Gli imputati sono a vario titolo accusati di associazione mafiosa ed estorsione, accuse per le quali rischiano fino a vent’anni di reclusione. L’inchiesta che ha portato il clan alla sbarra, vale la pena ricordarlo, ha fatto luce su un colossale giro di tangenti imposte nell’ambito degli appalti ospedalieri, vero e proprio cavallo di battaglia del clan Cimmino-Caiazzo.
luni