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Home Notizie di Politica

«L’Italia ha bisogno di un grande centro riformista»

di Redazione
6 Agosto 2022
in Notizie di Politica, Primo Piano
Tempo di lettura: 4 minuti
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Marcello Lala a Stylo24: «Trattative del centrosinistra? Non ne verrà fuori niente di buono»

Il 25 settembre l’Italia tornerà alle urne, dopo la caduta del Governo Draghi: gli elettori si troveranno di fronte un panorama politico quanto mai frastagliato, e che fino al 22 agosto, ultimo giorno utile per la presentazione delle liste, potrebbe ulteriormente mutare. Non muterà invece la posizione di Italia Viva, che non ha aderito al patto Letta-Calenda: e correndo da solo, il partito di Matteo Renzi dovrà arrivare almeno al 3%, soglia minima del Rosatellum per entrare in Parlamento. Un obiettivo difficile ma non impossibile: secondo l’ultimo sondaggio Swg, Italia Viva è al 2,8%. E lo stesso Renzi è consapevole che i voti decisivi potrebbero arrivare dalle grandi città: l’ex sindaco di Firenze potrebbe infatti decidere di candidarsi in prima persona a Firenze, Roma, Milano, Napoli e Torino, come primo nome in cima al listino proporzionale.  

«Stiamo dicendo da anni che l’Italia ha bisogno di un grande centro riformista, e quando si è trattato di crearlo veramente, tutti si sono tirati indietro». Marcello Lala, avvocato e giornalista pubblicista, responsabile della comunicazione per Italia viva Campania, ha le idee ben chiare sul panorama politico italiano che si sta delineando in vista delle elezioni di settembre.

Da un lato il patto Calenda-Letta-Della Vedova, dall’altro le bagarre del centrodestra, nel mezzo Italia Viva: cosa dobbiamo aspettarci dalle elezioni del 25 settembre?

«Io credo l’ingovernabilità, nel senso che ci sarà una nuova stagione politica di sostanziale equilibrio tra le coalizioni, anche se i sondaggi danno vincente il centrodestra. Ma dal punto di vista politico, le alleanze non sono definite, tutt’altro. E d’altronde, le polemiche continue nel centrosinistra sono sintomo della situazione. Se ci sarà equilibrio, l’ingovernabilità sarà un elemento caratteristico ed al tempo stesso drammatico per il Paese».

Renzi correrà da solo, per quella che ha definito una sfida «bellissima e difficile»: scelta più azzardata o coraggiosa, secondo lei?

«Una scelta sicuramente coraggiosa, perché espressione di posizione politica netta e chiara, e con una sua logica. Mettere insieme le forze moderate del Paese in un grande polo di centro. Renzi non ha aderito all’accozzaglia del centrosinistra del Pd, ossia quello che ha fatto Calenda, e non è nemmeno vicino alla coalizione populista e sovranista che c’è a destra. Eppure, la legge elettorale avrebbe consentito la creazione anche di un terzo polo di Centro, che potrebbe essere determinante per il Paese». 

Un grande centro moderato, sul modello di quanto fatto da Macron in Francia, che avrebbe avuto molte cose in comune con il Governo uscente guidato da Mario Draghi.

«Assolutamente, sarebbe stata una scelta di continuità con quello che ha fatto Draghi, che è stato un grande riformatore, ed ha sistemato molte cose. Un grande polo di centro moderato, in Italia, potenzialmente potrebbe riscuotere il 10% dei consensi elettorali: e con una quota simile di consensi, in Parlamento sarebbe possibile incidere in maniera più determinante sulle scelte politiche di un Governo».

Qual è, secondo lei, il rischio maggiore che corre Italia Viva in queste elezioni?

«Il rischio maggiore, chiaramente, è di non prendere il 3% e restare fuori dal Parlamento. Ma esiste chiaramente anche quello della diaspora interna: sono stato consigliere socialista negli anni d’oro del Psi, e so bene che quando le cose non vanno bene, si verifica sempre un fuggi-fuggi generale. Tutti pensano a prendere la propria strada, in base alle proprie idee e convenienze. Ci saranno sicuramente delle fuoriuscite dal partito, ognuno prenderà le proprie decisioni. D’altronde, oggi si fa politica per convenienza, e non per ideologia, e lo vediamo con i continui cambi di casacca. Il trasformismo d’altronde è figlio di Seconda e Terza Repubblica, non certo della Prima».

Come giudica il patto Letta-Calenda?

«Il mio giudizio è assolutamente negativo, ed infatti Calenda ci sta anche ripensando, sta capendo che questa alleanza gli sta stretta, ma ormai non può tornare più indietro. Continuiamo a vederne di tutti i colori, a differenza della posizione di Renzi, che ha sempre tenuto la barra dritta su valori fondamentali come garantismo, riformismo, e altre scelte fatte per il bene del Paese. C’è una grande differenza tra noi e loro: penso che la situazione del centrosinistra sia molto complicata, non ne verrà fuori niente di buono».

Il panorama delle alleanze elettorali potrebbe mutare ulteriormente fino al 22 agosto: secondo lei non c’è il rischio di aumentare la confusione e la sfiducia negli elettori, e di conseguenza l’astensionismo?

«Sicuramente è un rischio. La politica da qualche anno dà il peggior esempio di sé stessa, la gente è sfiduciata e distante, e tante persone non seguono più le dinamiche della politica. Proprio perché la caduta delle ideologie ha portato a una idea della politica in cui ognuno pensa a sé stesso, e nessuno bada al futuro del paese. Una sorta di “moda” che imperversa soprattutto sui social, non c’è mai un argomento che non vada oltre il quotidiano, che investa il futuro delle giovani generazioni. Di conseguenza, è inevitabile che si alimenti la sfiducia degli elettori». 

Qual è la cosa che, più di ogni altra, non si augura avvenga il 25 settembre?

«Mi auguro che Giorgia Meloni non diventi Presidente del Consiglio: e non per astio personale nei suoi confronti, ma è una storia che non mi appartiene. Poi, da persona democratica, e da ex socialista, se dovesse vincere le elezioni, avrò rispetto del risultato e non le andrò contro come hanno fatto altri in passato, etichettandola come fascista. Ma quel tipo di politica, a livello nazionale e internazionale, non mi appartiene culturalmente».

g.acu.

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