Il 23 settembre del 1985 l’omicidio Siani: la camorra e la corruzione non si combattono soltanto con i carabinieri
di Serena Trivelloni
Due biglietti per il concerto di Vasco Rossi, probabilmente da regalare alla sua amata compagna per quella sera stessa. Questi sono gli oggetti pervenuti nelle tasche del giornalista Giancarlo Siani, quel maledetto 23 settembre del 1985 quando dieci colpi esplosi da una Beretta 7.65 lo raggiungono alla testa in Via Vincenzo Romaniello, nel quartiere Arenella di Napoli.
Chiunque faccia un minimo seriamente questo mestiere, non digerisce né dimentica con facilità questa ricorrenza, il sorriso di Giancarlo, la sua determinazione nel conoscere la verità e nel cercare di trasmetterla agli altri. «Non ha paura a scrivere certe cose?» gli chiede in occasione di un incontro una studentessa: «Ogni tanto sì» risponde. Subito dopo, uno studente gli domanda: «E allora perché lo fa?», segue un attimo di riflessione e ribatte: «Perché è il mio lavoro, perché l’ho scelto. E non è che mi senta particolarmente coraggioso nel farlo bene. E’ che la criminalità, la corruzione, non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, devono conoscere i fatti. Allora quello che un giornalista-giornalista dovrebbe fare è questo: informare». Non un supereroe ma un «giornalista-giornalista».
Di quelli che decidono di sfidare il lato buio dei quartieri, portarne alla luce la spietata crudeltà criminale, senza filtri né sconti. A Giancarlo dobbiamo il racconto del mondo del lavoro al sud, e del pericolo dell’ingerenza del sistema criminale nel tessuto politico e sociale della sua terra. Un lavoro incalzante, penetrante ed estremamente pericoloso: da una parte si fa portavoce della disperazione degli operai e la denuncia di uno Stato assente, dall’altra porterà avanti l’intuizione delle nuove connessioni tra le diverse realtà criminali, compresa quella tra camorra e mafia siciliana. Scrive di droga, abusivismo, lavoro.
L’amore per la verità
Denuncia le connivenze con la politica e le istituzioni, le dinamiche di un sistema criminale che, in particolare dopo il terremoto del 23 novembre del 1980, sta evolvendo sempre di più nella direzione di un sistema di potere economico e imprenditoriale. I suoi articoli non sono mai solo di cronaca, ma diventano sempre un’analisi lucidissima delle strategie criminali, dei patti indicibili, degli intrecci di interessi. Una fotografia della realtà in cui la denuncia coraggiosa è figlia di quell’amore per la verità e di quella sete di giustizia che non lo hanno mai abbandonato.
Eppure Giancarlo era un ragazzo come tanti di quelli che oggi decidono di fare questo mestiere: precari, ma determinati. Nel fornire uno strumento ulteriore di conoscenza, e nel comprendere le dinamiche profonde che muovevano le logiche del proprio territorio; dinamiche fatte di violenza, sottomissione al potere, emarginazione. Per il giornalista comprendere il disagio materiale e culturale delle fasce più deboli significava individuare il vero serbatoio di manovalanza e consenso sociale delle organizzazioni criminali.
Una sentenza di morte
Il grande lavoro svolto a Torre Annunziata, nell’individuare processi, legami ed equilibri tra le diverse realtà criminali dei Gionta, Nuvoletta e Bardellino è ciò che portò Giancarlo a una grande intuizione, determinando però di fatto la sua sentenza di condanna: «Un vero e proprio impero finanziario costruito in pochi anni: Valentino Gionta, boss della “Nuova Famiglia”, era riuscito a fare di Torre Annunziata il centro di tutti i suoi affari di camorra. Una città con circa sessantamila abitanti, un apparato produttivo in crisi… Un ottimo terreno per reclutare disoccupati e trasformarli in killers. Ma anche una grande occasione per controllare tutti i flussi finanziari in città». Giancarlo Siani – Osservatorio sulla Camorra n. 4, 1985 – La camorra a Torre Annunziata-
E ancora: «La cattura di Valentino Gionta, potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di “Nuova Famiglia”, i Bardellino. Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo da pagare proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana».
Mandanti e killer
Si sa. Quando la camorra sente scoperto il fianco colpisce e condanna senza possibilità di appello. Illazioni ricoperte di fango e «infamia» offendono e sporcano il codice d’onore mafioso e camorrista. Era arrivato il momento di mettere a tacere definitivamente la bocca di questo giovane e audace giornalista napoletano. Il 15 aprile del 1997, la Corte d’Assise di Napoli ha condannato all’ergastolo come mandanti dell’omicidio i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, Luigi Baccante e lo stesso Valentino Gionta. Come esecutori materiali vengono individuati invece Ciro Cappuccio e Armando Del Core. La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione, che però ha disposto per Gionta la celebrazione di un altro processo in Corte di Assise di Appello, da cui, il 29 settembre del 2003, il boss è uscito con una nuova condanna. Il giudizio della Cassazione lo ha però definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto.
E’ nel 2014 che, sulla scorta di particolari inediti contenuti in alcuni libri – inchiesta, l’allora coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, Giovanni Melillo, riaprirà le indagini sull’omicidio Siani. E se è vero che «essere giornalista è sentire l’ingiustizia del mondo sulla propria pelle, schierarsi dalla parte della verità, denunciare, farsi amica la paura e continuare sulla propria strada» l’unica cosa da fare per onorarne memoria è continuare a perseguire la sua. Perché per quanto la violenza criminale possa cercare di ostacolare il nostro cammino, metterlo a tacere con minacce e intimidazioni, solo «essendo realmente liberi nei pensieri e nel cuore» saremo in grado di non cadere mai in ginocchio, ma sempre in piedi. Proprio come ha fatto Giancarlo.