L’imprenditore, accusato di essere colluso con i Casalesi, scoprì fortuitamente la presenza di un giudice nel suo palazzo
Per puro caso l’imprenditore Vincenzo Schiavone (considerato dagli inquirenti vicino ai clan dei Casalesi) scoprì di abitare nelle immediate vicinanze di un magistrato. Addirittura sullo stesso piano. Un particolare che lo mise in allarme e lo costrinse a drastiche decisioni: il cambio di domicilio. Lo riporta l’ordinanza che ha colpito a fine aprile il clan dei Casalesi.
Nel corso delle investigazioni «sono stati raccolti numerosi elementi che danno sostegno all’ipotesi secondo la quale Vincenzo Schiavone, a un certo momento, abbia avuto il serio timore di essere colpito da un provvedimento restrittivo o, quantomeno, che possa essere stato coinvolto in indagini giudiziarie nei suoi confronti» si legge nel provvedimento. Significativa è la conversazione monitorata a bordo dell’autovettura in uso a un dipendente dell’imprenditore tra il predetto e Luca Caporaso. I due «commentavano un episodio occorso, pochi giorni prima a Vincenzo Schiavone» in cui quest’ultimo aveva prestato «aiuto a un suo vicino di casa, abitante sul suo stesso piano, al quale erano caduti alcuni fascicoli dalle mani».
In quel frangente Vincenzo Schiavone aveva avuto modo di capire che «si trattassero di fascicoli processuali in quanto i documenti riversi per terra riportavano l’intestazione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere».
Le false generalità
Intuendo che potesse trattarsi di un giudice, l’uomo decise di presentarsi con il cognome della moglie, Baldi, anziché con il suo. «Chiaramente – spiegano gli inquirenti – la scelta all’uopo optata da Vincenzo era stata verosimilmente dettata dal fatto che, qualora egli avesse svelato il suo cognome a un magistrato (per giunta del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ove sono stati celebrati i primi maxi processi contro il clan dei Casalesi, tra cui quello Spartacus che lo aveva coinvolto personalmente), avrebbe inevitabilmente suscitato la curiosità da parte del suo interlocutore di indagare per addivenire all’eventuale sua parentela con esponenti della famigerata famiglia Schiavone di Casal di Principe».
Al fine di verificare la veridicità di quanto ascoltato, gli investigatori effettuarono accertamenti presso il parco dove risiedeva l’uomo e riscontrarono l’effettiva residenza di un magistrato in servizio presso il Tribunale di Napoli nello stesso edificio, sullo stesso piano della precedente abitazione della famiglia di Vincenzo Schiavone.
L’intercettazione
In un’ulteriore conversazione registrata fra Tiziana Baldi e la figlia (entrambe non indagate in questa circostanza, ndr.) si scoprirono ulteriori dettagli della vicenda. Le due esprimevano «rispettive opinioni circa l’appartamento ove momentaneamente risiedevano in attesa di acquistare ulteriore appartamento dove trasferirsi. Tiziana Baldi, cercava di far comprendere alla figlia che da quel parco dovevano necessariamente andare via, testualmente dicendo “dobbiamo togliere la faccia da lì”, senza voler entrare nei particolari e redarguendo la figlia “Amalia prima di tutto non parlare assai”, e specificando che avrebbe acquistato il nuovo appartamento non con i loro soldi ma con quelli dell’azienda o quantomeno l’avrebbero intestata all’impresa»