Il blitz seguito alle intercettazioni
di Giancarlo Tommasone
Nella primavera del 2006, i carabinieri che intercettano le conversazioni telefoniche che avvengono tra Giuseppe De Luca (all’epoca ritenuto affiliato ai Di Lauro) e l’amante di quest’ultimo, riescono a fare irruzione in un covo, che si trova ad Arzano. Ascoltando i dialoghi intrattenuti dalla coppia, i militari dell’Arma giungono in un parcheggio di un centro commerciale e fermano – a bordo della vettura della donna – i due che lì si erano dati appuntamento. Siamo intorno alle 12.30 del 16 giugno 2006. De Luca viene trovato in possesso di una pistola. Infilata nella cintola dei pantaloni, ha una Beretta calibro 9×21 con matricola abrasa, completa di caricatore con 14 colpi. Gli uomini della Benemerita lo arrestano e successivamente estendono la perquisizione a una palazzina, dalla quale avevano visto provenire De Luca.
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Fanno dunque accesso in un appartamento del fabbricato e si imbattono in tre persone: due donne e un uomo, Davide Ferdinando. Nel corso della perquisizione domiciliare, all’interno della stanza da letto, i carabinieri trovano un borsello contenente 3 proiettili (compatibili col munizionamento rinvenuto nell’arma di De Luca); la patente di guida di Davide Ferdinando; un’immagine recante l’effigie di Ciro Fabricino e Ciro Fontanarosa (uccisi in agguato di camorra il 21 marzo del 2006 ); due dosi di marijuana.
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E poi salta fuori una lettera proveniente da Avellino, spedita il 25 maggio del 2006, dal cui contenuto si rileva che un soggetto sicuramente detenuto, informa Davide Ferdinando di aver probabilmente scelto di abbandonare le fila del clan. La decisione – si evince dallo scritto – sarebbe avvenuta dopo la morte di Ciro Fabricino e Ciro Fontanarosa. Oltre alla missiva spedita dal carcere i carabinieri trovano anche delle lettere indirizzate «a vari enti di polizia e testate giornalistiche, dalle quali si evince che il clan Di Lauro aveva ingaggiato una cruenta faida con il clan degli Scissionisti (i quali avevano ricevuto l’appoggio dei clan Licciardi, Bocchetti e Sacco attivi a Secondigliano)». Così è annotato in una informatica di polizia giudiziaria dell’epoca. Ad aver scritto quelle lettere, argomentano gli investigatori, è Davide Ferdinando, che emerge dalle missive, «era dovuto fuggire da Scampia essendo persona molta vicina al clan Di Lauro, e temeva per la sua incolumità». Nell’occasione, oltre a De Luca, fu arrestato lo stesso Ferdinando, per detenzione illegale di munizioni.